lunedì 6 ottobre 2008


ISRAELE: LA DONNA CHE PRESE EICHMANN

TEL AVIV - Non è vero che i morti non parlano. Qualche volta lo fanno per decisione di altri, animati da gratitudine e consapevoli che certi racconti serviranno a completare pagine importanti di storia. Yehudit Nessyahu, scomparsa cinque anni fa all'età di 78 anni, fece parte, unica donna, della squadra del Mossad - i celebri servizi segreti israeliani - che nel 1960 scovò e riuscì a catturare Adolf Eichmann, nascostosi in Argentina sotto il falso nome di Riccardo Klement, altoatesino. Nel 1962 il criminale nazista, responsabile della morte di molte decine e forse centinaia di migliaia di deportati, fu condannato a morte e impiccato. Caso unico nella storia di Israele, dove le sentenze capitali vengono automaticamente commutate nell'ergastolo. Su Yehudit 'Haaretz' ha pubblicato un lungo servizio, basandosi su un suo memoriale sinora inedito, in possesso del fratello Ephraim, 92 anni, unico parente diretto sopravvissuto. L'uomo, rispettando la discrezione della protagonista, "rimasta un agente segreto sino alla fine", prima di morire ha deciso di divulgare alcuni particolari di quella esistenza avventurosa. Yehudit, oltre che per l'abitudine alla segretezza, non aveva mai voluto raccontare nulla, nel timore di mettere a rischio persone con cui aveva lavorato. "Quando Isser Harel, allora responsabile del Mossad, mi chiese di recarmi in Sud America, per una operazione che egli stesso doveva dirigere - ha scritto la donna - non feci domande. Chiesi soltanto quando sarei dovuta partire". "Certe volte - scrive - per chi come me era ebrea osservante era impossibile non infrangere i precetti. Come quando, dovendo mangiare con altri, non tenuti al rifiuto della carne di maiale, per non essere scoperta inventavo che ero a dieta e prendevo solo spremute di arancia. Certe volte, però, non avevo scelta. Ma so che il Signore di fronte allo stato di necessità ci perdona". Così questa donna laureata in storia e filosofia, con l'aria di una innocua professoressa e capace di padroneggiare svariate lingue, tra cui perfettamente olandese, inglese e tedesco, concorse a portare a termine una delle operazioni che hanno concorso all'edificazione del mito del Mossad, forse i servizi segreti più citati del mondo, sebbene non sempre a proposito. Fu lei, fra altri compiti, a comunicare l'identità di Eichmann agli membri del commando. E fu sempre lei che, dopo che gli era stata somministrata una iniezione con una sostanza dagli effetti psicotropi, probabilmente barbiturici, per rimuovere ogni remoto dubbio lo chiamò a bruciapelo col suo vero nome, sentendosi rispondere "sì, che c'è?". "Nei giorni che a Buenos Aires vivemmo con lui prigioniero - ha scritto - pensavamo che avremmo avuto di fronte l'angelo del male in persona. Invece era un ometto da niente, che seguitava a ripetere di avere solo obbedito agli ordini". Al processo, Yehudit e gli altri ebbero dall'allora premier David Ben Gurion il permesso di assistere in aula. Lo fecero però in incognito e senza parlare tra di loro, perché nessuno potesse anche solo sospettare che erano del servizio segreto. Gli ultimi anni di questa donna, che aveva raggiunto alti gradi nel Mossad e in altre istituzioni dove aveva lavorato lasciati i servizi, sono stati contrassegnati dal dolore. Nel 1994 Haimie, il suo unico figlio, fu stroncato all'improvviso da un malore. Ma neanche in quel caso vacillò la fede di Yehudit, che seguendo i dettami dell'ebraismo, non volle fosse effettuata l'autopsia, per preservare l'interezza della salma.
di Carlo Giacobbe, 2008-10-05, http://www.ansa.it/

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