lunedì 20 ottobre 2008


Una scrittrice israeliana. Intervista a Lizzie Doron

a cura di ANNA ROLLI
Siamo cresciuti con un enorme segreto in casa, un segreto del quale nessuno poteva dirci nulla. Cosa era accaduto a tua madre? E a tuo padre? Cosa era accaduto ai loro bambini e a tutti gli altri? Sentivamo che non sarebbe stato corretto domandarlo ai nostri genitori. Così da una parte non se ne parlava mai, dall'altra tutti sentivamo che in famiglia c'era un segreto, che era una molto molto importante e che non si poteva toccare. Lizzie Doron mi parlava, seduta di fronte a me nel bar dove ci eravamo rifugiate per sfuggire alla calca del Festival Internazionale di letteratura ebraica svoltosi a Roma alla fine di settembre scorso.
Siamo cresciuti vergognandoci dei nostri genitori, pensavamo che fossero stati deboli, che non fossero stati capaci di combattere e che avessero la mentalità tipica della diaspora. Però siamo cresciuti in comunità nelle quali eravamo tutti uguali, il che è un sostegno molto molto forte per un bambino, perché come bambino non puoi fare un confronto con niente di diverso e non puoi renderti conto che c'è qualcosa di speciale nel tuo quartiere e qualcosa di anormale nella tua infanzia.... Penso che questa sia una caratteristica specifica perché Israele, a differenza delle altre nazioni, divenne il rifugio per quelli che furono deportati e che sopravvissero alla Shoà.
Al Festival, nel corso dell'incontro a lei dedicato, Lizzie aveva incantato il pubblico, tutti avevano ascoltato e avevano applaudito, ammirati e addolorati, il suo lungo racconto di figlia della Shoà. Il tono di sincerità e di attenzione introspettiva, l'esigenza di cercare risposte umane avevano profondamente coinvolto la platea.
Quando ho scritto la storia di mia madre e la gente ha iniziato a chiedermi di pubblicarla, ho provato una grande vergogna e quando è stata pubblicata, per un anno e mezzo, non sono entrata in nessuna libreria. Avevo paura che potessero riconoscermi. Io sono cresciuta in un circondario segreto e non mi sentivo in grado di uscire allo scoperto, così continuavo la vita tra la gente normale, e nello stesso tempo, appartenevo alla mia gente tra la quale ero quella che aveva rotto il tabù pubblicando il libro. Molti miei amici non sapevano come comportarsi, noi eravamo stati bambini in un grande vuoto e con uno sfondo oscuro e il mio sembrava a tutti un comportamento molto strano perché ad un certo punto ero uscita allo scoperto. In un momento ho realizzato che molta gente era esattamente come me, anche se rifiutava di ammetterlo, neanche loro sapevano nulla riguardo i loro genitori e stavano cercando la maniera più facile per affrontare il problema.
Penso che la nostra Storia produca molti sintomi diversi. Ci sono persone che immaginano la vita precedente, altre che si pongono continuamente delle domande. Ci sono persone che odiano i genitori per il loro silenzio , altre che hanno deciso di rimanere bambini per sempre e ancora adesso non ne parlano " Se questa è la volontà di mio padre, se lui non ha mai voluto dirmelo, se non vuole che io sappia, bene io rispetterò la sua volontà!" Invece altre persone come me si sono sentite molto frustrate sentendo che non è possibile essere un essere umano e non sapere nulla sulle proprie origini. Dipende dal carattere, dal temperamento e dalla visione di se stessi. Per me il punto centrale è stata la rabbia nei confronti di mia madre che ha rifiutato di parlare con me, di scrivere qualcosa e addirittura di lasciarmi un qualche documento che mi aiutasse a svelare il segreto e il silenzio. E'ancora la mia ossessione. Ho ingaggiato un detective per cercare informazioni e poiché non avevo nessun documento da dargli, lui non è stato in grado di trovare nulla. Io non so quando sia nata mia madre né dove. Non ho mai incontrato mio padre, non so se lui fosse malato, se fosse il solo sopravvissuto della famiglia o se avessero deciso di farmi crescere in Israele. Avrei tante domande da porre, non è per curiosità, io davvero vorrei capire ma c'è una cortina davanti a me e io non posso toccare niente che sia appartenuto ai miei genitori.
Probabilmente mia madre è stata sposata e ha perduto due bambini ma io non conosco il suo nome da sposata. In un vecchio libro ho trovato una testimonianza. Così ho scoperto che da Auschwitz fu spedita in un campo chiamato Scargesti Kamieno che era un posto orribile nel quale quasi nessuno sopravviveva. Producevano TNT per le granate e morivano avvelenati dalle esalazioni chimiche. Lei è stata una delle pochissime sopravvissute e dopo la guerra è andata a Varsavia dove si è rivolta ad una organizzazione che cercava i bambini presi dai nazisti. Questa è l'unica cosa dalla quale capisco che aveva avuto un marito, che lo aveva perso e che stava cercando i suoi bambini. Allora diede il suo cognome di ragazza, e così ho cercato di sapere da dove venisse e ho trovato solo il passaporto di mio nonno che veniva da Vienna, e lei probabilmente era nata in Galizia prima della Grande Guerra. I documenti sono come un puzzle e non riesco ad organizzarli. Era una donna della quale nessuno sapeva niente. Capisco che non potesse parlare della Shoà, ma come bambina io volevo sapere. Sono cose che ancora mi creano molti problemi. Io non posso accettare il suo comportamento. C'è molta differenza tra noi figli dei sopravvissuti, alcuni si vergognano di sapere ciò che accadde, di affrontare il trauma, addirittura con se stessi. Altri invece vorrebbero sapere tutto. Una mia amica è molto depressa ed è piena di rimpianti, è convinta di non essere stata una figlia abbastanza buona e brava per i suoi genitori e prova un senso di colpa molto forte e non può trovare sollievo. Questo è un altro sintomo. Lizzie Doron ha un'aria sbarazzina e accorata, un volto e un parlare così espressivi! Pochi giorni prima d'incontrarla avevo letto e recensito per Agenzia Radicale, Perché non sei venuta prima della guerra?,il suo primo libro, breve e intensissimo, tradotto e pubblicato in Italia dalla Giuntina. Un libro profondo, toccante, nel quale l'autrice mostra una eccellente capacità di scrittura. Mentre mi parlava continuavo a guardarla e ad ascoltare, poi senza difficoltà è venuta la confidenza , le ho detto che la sua storia è anche la mia storia.
Nel nostro quartiere dividevano i bambini in due gruppi , ad uno appartenevano quelli che probabilmente sarebbero stati capaci di sopravvivere in un campo di sterminio e nell'altro quelli che di sicuro sarebbero morti. E' sorprendente come umiliassero i deboli, come li facessero a pezzi, e come fossero orgogliosi dei bambini forti. Così questi ultimi quando sono andati sotto le ami hanno voluto dimostrare di essere dei veri combattenti e poi in guerra sono morti per primi. E' stata una enorme tragedia, perché i genitori che erano molto orgogliosi e soddisfatti di loro, alla notizia che i figli erano morti sono crollati distrutti e non si sono più ripresi. Questa è stata davvero la soluzione finale!
Siamo cresciuti in una maniera molto confusa e non capivamo quello che i nostri genitori volevano che noi fossimo. I sopravvissuti erano confusi su come educare e su come comportarsi con i bambini. Mia madre non mi ha mai abbracciata,non mi ha mai baciata, non mi ha mai toccata, e quando io ne ho parlato in pubblico molte persone hanno iniziato a piangere e a raccontare che per loro era stato lo stesso e che oggi avevano ancora paura di stare vicino a qualcuno. E' un particolare che riportava indietro tutta la memoria. Gli essere umani non sono tutti uguali però, sicuramente, tutti quelli della seconda generazione hanno qualcosa che è profondamente connesso con la Shoà. Sono loro stessi una specie di sopravvissuti. Io sono una sopravvissuta della vita, sono una sopravvissuta dell' infanzia vissuta con mia madre. Tutti noi sappiamo che la Shoà ha avuto un' influenza enorme sul nostro modo di vivere e sui nostri sentimenti e questo è cruciale.
Anna-Tutti noi pensiamo alla Shoà tutti i giorni della nostra vita e questo è un sintomo, un secondo sintomo potrebbe essere che pur pensandoci continuamente e pur sapendo che è tutto vero, in una parte della nostra mente non riusciamo davvero a credere che tanto orrore sia potuto accadere.
Noi pensiamo alla Shoà tutti i giorni. Se non c'è abbastanza cibo noi pensiamo alla Shoà. Se c'è un incidente, se qualcuno muore, questa categoria della nostra mente si riaffaccia tutto il tempo, però ognuno di noi ha la sua maniera personale per vivere la propria vita con l'immagine della Shoà . Non ci avevo pensato in questi termini, piuttosto pensavo a come imparare a controllare i miei sentimenti. C'è stato un periodo nel quale ho odiato mia madre così tanto , sentivo che lei mi imbrogliava e che mi usava ed ero così arrabbiata. Tutta la mia vita è stata una lotta per ridurre la mia rabbia e per accettare le sue scelte. Lei voleva che io fossi abile e sensata abbastanza da essere capace di sopravvivere. Ogni volta che portavo a casa un fidanzato lei giudicava se sarebbe stato in grado di sopravvivere oppure no , e per dire una cosa davvero offensiva di una persona diceva " Lui ?!? Lui è una nullità! Uno così ad Auschwitz non sarebbe sopravvissuto un solo giorno!". Così giudicavano nella loro mente, questa era la loro concezione dell'essere umano. E intorno a se, nel caso di un'altra guerra, volevano soltanto ebrei capaci di combattere e di sopravvivere.
Anna-Io ero una bambina inappetente. Ero molto minuta e a scuola ero sempre la più bassa della classe. Quando mio padre mi incontrava per strada non mi salutava, faceva finta di non conoscermi perché si vergognava di avere una figlia come me. Un altro sintomo potrebbe essere il nostro bisogno di sentirci bravi e coraggiosi, di sentirci non meno capaci di loro.
Io sono una nevrotica piena di sintomi, ho paura dell'ascensore, di volare, di andare in giro da sola, ma ho una grande intuizione per capire il comportamento della gente. Cerco sempre una posizione sicura. Lei mi spingeva continuamente a stare attenta perché tutto è molto fragile e puoi essere fatta a pezzi in un minuto. E' molto difficile perché diventa impossibile rilassarsi. Io sono cosciente tutto il tempo che qualcosa può accadere e che io dovrò superarla per sopravvivere. Dovrei sapere quando esattamente scappare, quando lottare, quando prevenire, quando esattamente una discussione con un uomo può diventare pericolosa. Vivo in un mondo pieno di nemici e dovrei essere coraggiosa in un mondo di nemici, e abile abbastanza da scappare in tempo. Noi abbiamo ricevuto le stesse regole su come sopravvivere ma abbiamo reagito in modo diverso. Io non sono affatto coraggiosa.
Anna-Un'altra caratteristica che abbiamo in comune è la nostra ricerca di tutto ciò che potesse svelarci qualcosa. Quando ho letto il primo capitolo del libro di David Grossman , Vedi alla voce amore, ho pianto per ore.
Quel bambino è un nostro fratello. Io non ero autorizzata ad accendere la televisione nel giorno della memoria, non ero autorizzata a possedere libri sulla Shoà. A casa mia come a casa tua. Mia madre diceva " Non è affare tuo, tu devi essere felice, tu devi vivere una vita normale". Ero molto curiosa, però ero una bambina ubbidiente e così ho letto Anna Frank soltanto da ragazza, e ho iniziato ad esserne ossessionata e ad andare nelle librerie a cercare i vecchi libri per scoprire quello che era accaduto. E un problema serio perché, in un certo senso, la Shoà ha generato una nuova specie di essere umano. E' stata come una nuova creazione del mondo. Dio ha creato il mondo e Hitler ha creato un nuovo essere umano. Noi sappiamo, ora, cosa potrebbe diventare l'umanità e sappiamo cosa accadde alla gente dopo quella guerra terribile. La portiamo nei nostri geni, la potenzialità di agire verso gli altri come animali. Ha cambiato, io penso, tutto il sentimento di sicurezza e di fiducia in se stessi e nel mondo. Ha cambiato addirittura le domande riguardo Dio, le domande teologiche.
Anna-Mio padre non si è mai interessato alla religione e anch'io non me ne sono mai interessata se non come fenomeno storico- antropologico. Mio padre odiava i tedeschi e i fascisti e odiava anche Dio.
Mia madre diceva di non credere nei grandi leader, né nei comunisti, né nei fascisti, né nella razionalità, né nella religione. Diceva che avremmo dovuto creare un mondo nuovo e mi spingeva soprattutto ad essere indipendente nelle mie opinioni. Questa è la cosa buona che ho ricevuto: essere responsabile per la mia vita. Il problema è stato il suo modo di trattarmi a livello psicologico. Sentire che sei una bambina è nessuno mai che ti baci , che ti abbracci....E la domanda "Che cosa ho fatto che nessuno mi vuole mai abbracciare?"... Ci sono voluti anni, per capire che non era un problema provocato da me e dal mio comportamento ma dai suoi ricordi di vita e dal suo trauma precedente. Mi è ancora molto difficile accettarlo e io penso che sia uno dei motivi per cui la gente va avanti con il silenzio. Perché non provare ad abbracciarmi, a baciarmi, perché non provare a dare il calore di base che ogni madre dà ad un bambino? E' molto difficile! Razionalmente lo posso accettare ma emozionalmente sento un vuoto pieno di niente...
Anna-Mio padre non mi ha mai baciata, non mi ha mai abbracciata... Eppure io penso che siamo fortunate, perché siamo figli delle vittime. Nessuno soffre tanto quanto i figli dei carnefici. Pensi?
Anna-Si. Le vittime sono le vittime. Noi manteniamo una relazione e ci prendiamo cura l'uno dell'altro. Se qualcuno è malato, se qualcuno ha bisogno di qualcosa, se qualcuno è solo, ci sentiamo responsabili l'uno per l'altro. Costituiamo una specie di comunità e anche se non viviamo insieme, nonostante la lontananza ci teniamo in contatto perché noi siamo l'ombra della famiglia e dobbiamo avere cura dei membri di questa famiglia.
Anna-Avevo un'amica, suo padre era stato un fascista a Salò, un vero criminale, graziato a suo tempo da Togliatti. Non ho mai conosciuto una persona così disperata. Ho fatto tutto ciò che potevo per darle una mano. Ora sta seguendo una lunga psicoterapia. Una volta mi ha telefonato al cellulare e io ero in aeroporto e mi sentivo felice perché ero in partenza per Israele. Stava malissimo. Ho parlato con lei per più di due ore, dal controllo documenti fino al momento dell'imbarco. Poi durante il viaggio pensavo all'assurdo delle nostre vite, un assurdo nel quale è anche la bellezza della civiltà: stavo partendo per andare a lavorare nella patria degli ebrei e nel mentre avevo tentato in tutti i modi di aiutare la figlia di uno di quei criminali che avevano distrutto la giovinezza di mio padre, che avevano assassinato i famigliari dei miei migliori amici ....
Ho una grande amica. Suo padre era una delle guardie del corpo di Hitler e lei ha dedicato la vita al popolo ebraico. Lavorava a radio Berlino al dipartimento della cultura e promuoveva gli scrittori israeliani in Germania e quando mi hanno chiesto un' intervista lei ha deciso di raccontarmi la sua biografia nel caso io volessi rifiutare e così abbiamo passato molto tempo insieme. Oggi ha 66 anni ed era una bambina durante la guerra poi ha sposato un ebreo sopravvissuto alla Shoà. E' stato un matrimonio molto difficile, hanno avuto un bambino e l'hanno chiamato Abramo: " colui che ristabilisce il paese degli ebrei", ma alla fine hanno divorziato. In seguito ha adottato un bambino musulmano bosniaco perché voleva combattere l'idea che i tedeschi sono una razza pura. Viene da una famiglia tedesca molto famosa e così ora ha un figlio ebreo e un figlio musulmano. Dopo aver letto il mio libro ha deciso che anche lei doveva scrivere qualcosa, non letteratura ma semplici memorie e documenti per la sua famiglia. E' molto in crisi e vive in una area ecologica con altre due donne figlie di nazisti, e sta scrivendo un diario sulla sua vita perché dice che la Storia della Germania non termina con la prima generazione e loro debbono continuare a scriverla. La mia opinione è che potrebbe diventare un grande libro e ho cercato di convincerla a pubblicare i suoi appunti. Una volta mi ha detto "Noi siamo come un manicomio all'aria aperta perché la nostra vita è tale da essere quasi incredibile. Abbiamo fatto così tante cose per non essere travolte dal passato ." Per es. una sua amica ha adottato un padre. Non voleva il suo vero padre perché era stato un nazista e non lo chiamava papà, poi ha chiesto ad un altro uomo di essere suo padre e ha chiamato papà l'uomo che aveva deciso avrebbe potuto essere un buon padre per lei.
Anna-E' molto bello che tu sia stata capace di scrivere un libro come: Perché non sei venuta prima della guerra?
L' ho scritto per mia figlia. Volevo che giudicasse mia madre dal suo punto di vista e non dal mio. A quel tempo odiavo molto mia madre e mi domandavo se mia figlia, che appartiene alla terza generazione, sarebbe stata in grado di guardare al suo comportamento da un altro punto di vista. E' stato stupefacente perché quando ha finito di leggere mi ha detto "Mamma, io ammiro tua madre!" e io ero scioccata. Come era possibile che qualcuno ammirasse mia madre?
Questa è stata la vera svolta per me , da quel momento ho iniziato a rivelare la mia vita. Da allora ho impiegato 5 o 6 anni per scrivere altri 5 libri, per descrivere quello che era accaduto nella nostra vita. Mia figlia era la persona più adatta, la migliore per dirmi che mia madre aveva fatto anche qualcosa di giusto.
Anna-Nonostante il dolore e la rabbia il tuo libro racconta di una donna coraggiosa e buona e di grande dignità. Non si può fare a meno di apprezzarla.
Mia madre pensava che nel presente ci era offerta la possibilità di essere molto migliori, non ha mai pensato che potessimo diventare peggiori, diceva che avevamo imparato qualcosa davvero importante e che eravamo arrivati alla conclusione di non essere razzisti, di essere liberali, e che la religione non serve per rendere il mondo migliore. Conservava anche un certo senso dell'umorismo e la ragione è che, nel profondo del cuore, era ancora molto ottimista.
19 ottobre 2008 , http://www.agenziaradicale.com/

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