martedì 11 novembre 2008


La notte dei cristalli

Berlino, 10 novembre 1938. La notte dei cristalli

Il pogrom della “notte dei cristalli”, avvenuto la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, segna un decisivo passo avanti della campagna antisemita nazista. La violenza e le devastazioni di quella notte portarono alla luce una nuova ferocia antisemita, che avrebbe portato alla cosiddetta “soluzione finale”. Il pretesto per scatenare le violenze contro gli ebrei fu l’assassinio, il 7 novembre 1938, di Ernst von Rath, diplomatico tedesco**. Tre giorni dopo, durante la notte dei cristalli (così ironicamente definita riferendosi ai vetri infranti delle vetrine dei negozi ebrei), vennero date alle fiamme 119 sinagoghe, saccheggiati 7500 negozi di ebrei, 91 israeliti vennero uccisi e 26000 chiusi nei campi di concentramento. Appariva ormai chiaro che il “problema ebraico” non era risolvibile – agli occhi dei nazisti - senza violenza. La «notte dei cristalli» è la conseguenza della campagna d’odio scatenata contro gli ebrei dal nazismo: un atto di follia indotto, ma che trovava una pronta risposta nell’antisemitismo diffuso tra i tedeschi.
L’antisemitismo affonda le sue radici nella stessa cultura europea. I primi forti pregiudizi iniziarono a comparire in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. Scrive Maurice Agulhon:
Il nazionalismo si definisce non tanto per l’ostilità, banale e da tutti condivisa, alle nazioni straniere quanto per l’ostilità al nemico interno, l’antinazionale, l’internazionale, il sopranazionale. Ed è precisamente negli anni Novanta che il nemico interno prende la forma di ebreo, o meglio di mito dell’ebreo.
Questo “mito dell’ebreo” trova, però, origine molto tempo prima e, in parte, nella stessa religione cristiana. Dopo la dissoluzione dello stato ebraico, gli ebrei si sparsero in tutta Europa e «la stessa diaspora […] segnò anche la dissoluzione di una identità definita di popolo, identità che sussistette individualmente nei secoli solo perché garantita dal potere unificante dell’immenso patrimonio culturale». In tutta Europa si diffuse un antigiudaismo pagano, accompagnato da un antigiudaismo cristiano. Come osserva Finzi: E’ lo spettro dell’ebreo “deicida” che sta alla base di un mito vivo nell’Europa dal Medioevo agli inizi del secolo XX inoltrato: quello dell’omicidio rituale di Pasqua. Secondo questa leggenda nera gli ebrei per la loro Pasqua avrebbero ucciso un bambino cristiano il cui sangue avrebbe dovuto essere usato nel pane azzimo pasquale» – e, continua Finzi - «è il racconto innanzitutto di un tradimento e di un tradimento per denaro. Il messaggio che trasmette è molto chiaro: l’ebreo è infido e avido, complotta alle spalle dei suoi benefattori.
Così, il pregiudizio oscura la storia e si radica nel senso comune di intere popolazioni, dando origine allo stereotipo dell’ebreo traditore e “deicida”, che verrà ulteriormente rafforzato in epoca moderna dalla nascita del concetto di “razza”. Nell’Ottocento si affermò l’idea di nazione e anche gli ebrei, seppur sparsi in tutta l’Europa, più che sentirsi una minoranza religiosa facevano propri i sentimenti nazionalisti diffusi nei Paesi in cui vivevano: «una parte di ebrei che rifiuta la via dell’assimilazione, che vuole mantenersi ebrea, persegue con tenacia la via dell’integrazione». Proprio da questa spinta nazionalista nacque il sionismo, movimento che aveva come obiettivo la formazione di uno stato ebraico, in Palestina o altrove. Il sionismo, però, venne guardato con diffidenza dall’Europa, che continuava a ritenere l’ebreo l’”infedele” e il “traditore”. La situazione precipitò l’ 8 maggio 1920, quando il “Times” pubblicò un articolo che garantiva l’autenticità dei documenti conosciuti come I protocolli dei savi di Sion. Questi documenti si rivelarono poi un falso: redatti in realtà dai servizi segreti russi, che avevano adattato al nuovo contesto alcuni brani di un libello satirico contro Napoleone, erano stati pubblicati per la prima volta in Russia nel 1903. Questi documenti “svelavano” l’esistenza di «un segreto “direttorio” mondiale ebraico il cui obiettivo è instaurare il dominio degli ebrei sul globo per mezzo delle idee democratiche, radicali, socialiste, comuniste». Tutto ciò contribuì alla nascita della teoria della congiura ebraica, che serviva a distogliere l’opinione pubblica dalle reali cause delle tensioni sociali.
Questo antisemitismo “sociale” veniva nel contempo accompagnato da un antisemitismo “economico”. La figura dell’ ebreo “traditore per denaro” si rifletteva perfettamente nell’ambito economico e portò all’identificazione dell’ebreo con l’usuraio. Fin dal Medioevo agli ebrei erano vietati moltissimi mestieri ed anche nel secolo XIX «leggi, costumi, statuti delle corporazioni vietavano loro il possesso di terre, il godimento di beni comuni, moltissimi mestieri». Dunque, per l’ebreo, prestare denaro rimaneva una delle poche attività proficue concesse. Fu con la condanna della Chiesa che il termine “usura” assunse il significato negativo che ancora oggi possiede. La maggioranza degli ebrei si dedicò, dunque, ad attività commerciali: «in un’era di espansione capitalistica, essi hanno colto l’occasione di far tesoro della lunga esperienza di economia di mercato conquistando posizioni nella scala sociale». Molti ebrei divennero così impegnati nel settore della finanza e dell’attività bancaria, dando, però, un’ulteriore spinta alla diffidenza e al pregiudizio diffusi tra la popolazione europea.«Con l’avvento del nazismo e la sua dottrina razzista l’antisemitismo compie un agghiacciante salto di qualità. Gli ebrei sono considerati “non degni di vivere”». L’ideologia razzista compare brutalmente nel programma politico esposto nel Mein Kampf, ove il messaggio di “riscossa nazionale” lanciato da Hitler si basa sulla necessità di preservare la razza “ariana”, destinata a diventare padrona della terra. Al centro del programma compare un feroce antisemitismo, presentato, allo stesso tempo, come autodifesa della patria e dovere religioso. Risorge, così, nel pensiero nazista, l’immagine dell’ebreo “deicida”, infido e traditore, responsabile della rovina dei popoli, mosso dallo scopo del dominio universale.
L’ebreo è il nemico perché è portatore del maggior pericolo di contaminazione della razza. Vive frammisto agli “ariani”, poco riconoscibile per quanto segnato dalle stimmate fisiche del “tipo ebraico”. Senza una terra, privo di un suo “spazio vitale” non può partecipare all’universale lotta per il potere fra le “razze” e i popoli nella “consueta” forma di guerra tendente alla conquista di territori, al allargare il proprio “spazio vitale”. E dunque non può che servirsi di metodi occulti e immorali».L’ebreo, dunque, secondo l’ideologia nazista, acquista i tratti del nemico della “razza ariana”, un germe che avvelena dall’interno la società tedesca, fino a portarla alla corruzione e alla rovina.Tuttavia, la “notte dei cristalli” non avrebbe mai avuto luogo se il partito nazista non avesse riscosso tanto successo tra la popolazione tedesca. E’ privo di senso pensare che l’influenza esercitata dai nazisti fosse legata esclusivamente alla figura di Hitler. Hitler era sicuramente un individuo carismatico, ma questo non è sufficiente a spiegare la presa di potere del suo partito. «La realtà è che Hitler e i nazisti erano prigionieri delle circostanze dell’epoca […]. Senza una crisi che travagliava il mondo il partito nazista tanto per cominciare non sarebbe neppure nato».
Per capire la situazione della Germania bisogna tornare al trattato di Versailles. Al termine della prima guerra mondiale la Germania si arrese e dichiarò l’armistizio. I tedeschi, però, non si ritenevano sconfitti e «si diffuse la leggenda della “pugnalata alle spalle”, l’idea cioè che, mentre soldati tedeschi sacrificavano le proprie vite, altri, dietro le linee, in patria li stavano tradendo»In realtà non c’era più motivo di continuare la guerra, dal momento che la Germania aveva raggiunto per la prima volta la democrazia e la guerra sarebbe comunque terminata con una sconfitta. Il trattato di Versailles, in aggiunta, impose alla Germania pesanti sacrifici territoriali ed economici, lasciando il paese umiliato e in una situazione interna insostenibile.Il governo socialdemocratico era ritenuto responsabile della sconfitta e della vergogna nazionale: «erano i politici della sinistra che avevano acconsentito all’umiliante armistizio del novembre 1918, i cosiddetti “criminali di novembre”». Ciò contribuì a rinvigorire i pregiudizi nei confronti degli ebrei; infatti «la maggioranza dei leader che avevano promosso il colpo di Stato di sinistra erano ebrei» e la responsabilità della situazione tedesca del primo dopoguerra venne così attribuita agli ebrei che, nella mentalità comune, governavano il paese «nella cornice di una cospirazione mondiale promossa dal giudaismo internazionale». E’ in questo orizzonte che il nazismo riesce a salire al potere. Agli occhi dei tedeschi l’hitlerismo acquista
l’immagine di un regime forte e severamente paternalistico, difensore dei tradizionali valori della patria, capace di affrontare, con la necessaria energia, i più gravi e urgenti problemi e di risollevare, davanti al mondo, l’onore e l’autorità di una Germana umiliata.
In Germania l’antisemitismo era diffuso, ma non in maniera così esagerata da poter dare una spiegazione di ciò che sarebbe poi accaduto. Il nazionalsocialismo aveva messo al centro del suo programma politico l’antisemitismo, ma larghe masse della popolazione non si accorsero della gravità di tale decisione: il “problema ebraico” era considerato una questione marginale, «il costo doloroso dell’effettivo recupero della dignità nazionale». Non è possibile indagare sulle singole responsabilità di questa presunta “ignoranza”; se realmente la maggior parte della popolazione non si fosse accorta di ciò che stava accadendo e si fosse lasciata manovrare dal regime fino a farsi indurre ad atti di terribile violenza e a silenzi ancora più feroci, rimane un mistero. Mai potremo sapere cosa pensassero le coscienze di tutte quelle persone che assistevano, immobili, alla premessa di ciò che sarebbe stata una delle più grandi stragi della storia. Ad ogni modo il regime, nei primi anni, agì con molta cautela nel diffondere tra la popolazione il programma antisemita. «Le misure antiebraiche furono propinate al popolo tedesco, fino al novembre 1938, a piccole o grosse dosi, ma sempre nei momenti più opportuni»; inoltre, «siccome il terrore era riservato per lo più ai soli oppositori politici del nazismo o agli ebrei, la maggioranza dei tedeschi poteva assistere con indifferenza, se non con piacere, a quella che Göring chiamava “la resa dei conti”». Nel settembre del 1935, con l’applicazione delle Leggi di Norimberga, il “problema ebraico” assunse anche una dimensione legislativa: «L’estromissione degli Ebrei dalla vita pubblica e […] anche dalle attività economiche, fu perseguita dapprima con azioni “selvagge” e poi sistematicamente per via legislativa».«Numerosissimi tedeschi all’epoca erano favorevoli alle restrizioni imposte agli israeliti», dal momento che gli ebrei erano molto numerosi in certe attività professionali (come ad esempio in quella legale) e l’impressione che si era diffusa tra i tedeschi era che gli ebrei monopolizzassero certe professioni. Quest’atmosfera portò alla formazione di una profonda spaccatura tra i tedeschi e gli israeliti: i primi evitavano i secondi perché ritenuti “contagiosi”. I tedeschi si sentivano una comunità “pura” e gli ebrei la contaminavano. Nel novembre 1938 si manifestò dunque in tutta la sua veemenza l’antisemitismo che si era diffuso tra la popolazione tedesca nei primi anni del regime. Indubbiamente, come abbiamo spiegato precedentemente, fu una strage indotta dalla propaganda antisemita del nazismo, ma che aveva trovato presso la popolazione tedesca una pronta risposta, sia per la situazione di crisi della Germania, sia per i pregiudizi antisemiti radicati nella mentalità della maggior parte della popolazione.
Nel 1938 la situazione interna della Germania aveva raggiunto una certa stabilità: «in nessun altro momento della storia del regime nazionalsocialista la resistenza interna era stata, sia a destra sia a sinistra, così debole e disarmata». Il Patto di Monaco, infatti, aveva riconosciuto alla Germania il ruolo di potenza egemone al centro dell’Europa e già in marzo Hitler aveva annesso il territorio austriaco, confermando la potenza militare tedesca. Il regime si trovava così incontrastato al governo del paese e la più piccola provocazione sarebbe bastata a scatenare la violenza. Il 7 novembre 1938 a Parigi, un giovane ebreo polacco, Herschel Grynszpan, ferì a colpi di pistola Ernst von Rath, un diplomatico tedesco. Due giorni dopo von Rath morì. Il 9 novembre Goebbels fu informato della morte di von Rath mentre si trovava a Monaco, dove erano riuniti i capi del Partito. Nel contempo si erano verificate alcune manifestazioni antisemite nelle province dell’Assia e del Magdeburgo; Goebbels, sfruttando la situazione, non solo aveva intenzione di istigare le manifestazioni, ma di organizzarle e metterle in atto. Così, informato Hitler, ottenne il permesso per un’azione delle SA. I dirigenti politici presenti a Monaco informarono i distretti e vennero così mosse le SA sull’intero territorio tedesco. La mostruosa azione scatenata da Goebbels aveva destato stupore all’interno dello stesso Partito: «gli stessi capi delle SS rimasero sorpresi, quando seppero delle decisioni concordate».
Himmler, che ne fu informato da Hitler, osservava in una nota da lui dettata nel corso di quella stessa notte: «Suppongo che Goebbels, nella sua ambizione di potere, di cui da tempo mi sono reso conto, e nella sua stolidezza, abbia avviata, proprio in un momento internazionalmente così difficile, questa azione». Nonostante il dissenso di alcuni capi nazisti le violenze si scatenarono ugualmente sul territorio tedesco. Quella notte gli ebrei furono tirati giù dai loro letti, massacrati e ridotti in fin di vita nelle loro stesse abitazioni, i loro negozi e le loro case vennero distrutti, 119 sinagoghe furono incendiate, 26000 ebrei vennero arrestati e chiusi nei campi di concentramento e 91 vennero uccisi.«Ciò che accadde nel corso del grande pogrom fu uno “spettacolo”, nel senso heiniano della parola, spaventoso e completamente imprevedibile, nel complesso delle sue mostruose dimensioni, dalla maggioranza del popolo tedesco».
Molti tra i tedeschi rimasero indignati di fronte a quel terribile spettacolo, molti se ne vergognarono, increduli che una nazione civile potesse promuovere atti del genere; «la stragrande maggioranza dei tedeschi, però, a quanto sembra fu d’accordo con l’esclusione degli ebrei dal corpo della collettività germanica».Il potere dei nazisti era ormai fuori controllo e «le circostanze dell’episodio rivelano, una volta ancora, quanto disastrosi potessero essere, nella Germania nazista, eventi non programmati». Quella notte cominciò il terrore; la brutalità, la violenza, le devastazioni della «notte dei cristalli» furono il preludio della “soluzione finale”.
L’antisemitismo, fino a quel momento rimasto semi-nascosto, coperto da un regime che avrebbe dovuto risollevare la Germania dalla crisi, in quella notte esplose, mostrando tutta la sua violenza. Da lì ad Auschwitz il passo era ormai breve.
Giorgia Corrias, http://coalova.itismajo.it/

**Un ragazzo ebreo diciassettenne, vistosi ripetutamente negato il rinnovo del passaporto, andò all’ambasciata tedesca di Parigi ed esplose cinque colpi di pistola al secondo consigliere, von Rath, ferendolo gravemente. E ancora una volta il caso giocò un ruolo determinante nella successione degli avvenimenti. Von Rath morì il 9 novembre, mentre tutti i “magnati” del regime erano a Monaco per festeggiare con Hitler il 9 novembre 1923: quel giorno, in uno scontro con la polizia berlinese che ne stroncò il tentativo insurrezionale, Göring era stato ferito e Hitler arrestato. Verso le ore 21, un messo si avvicinò a Hitler e gli sussurrò la ferale notizia: von Rath era morto. Cosa successe dopo lo dicono le cronache di allora.

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