giovedì 19 febbraio 2009

L’altra guerra di Israele : l’informazione distorta


lettori più attenti della rassegna stampa di Moked l’hanno potuto vedere giorno dopo giorno, soprattutto se hanno letto la rassegna integrale e non solo le segnalazioni dei commentatori, inevitabilmente limitate agli articoli più interessanti e corretti: la stampa italiana ha uno strano atteggiamento sul mondo ebraico. Si mostra in genere interessata e aperta alle nostre tradizioni e alla nostra cultura, commossa e attenta al ricordo della Shoà, insomma ha un atteggiamento in genere positivo nei confronti dell’ebraismo come fenomeno storico, religioso e culturale. Perfino la potente campagna di stampa del Vaticano per la beatificazione di Pio XII e dunque contro le obiezioni sollevate da tanta parte del mondo ebraico, non è quasi mai degenerata nei tradizionali atteggiamenti antigiudaici.Quando però si parla di Israele, le cose cambiano. Il pregiudizio contro lo Stato di Israele, diciamo pure la propaganda anti-israeliana, dominano la grande stampa. Vi è qualche eccezione di posizioni che in linea di principio si pongono al fianco di Israele:Il Foglio, l’Opinione, qualche volta ma non sempre Il Giornale, Panorama, Il Riformista. L’orientamento politico prevalente a destra di queste testate riflette un’analoga polarizzazione dello schieramento parlamentare. Che si riflette anche nelle posizioni degli altri giornali: dalla attenta ostentazione di un atteggiamento neutrale del Corriere della sera e del Sole all’appoggio esplicito per la causa palestinese, via via più militante e aggressivo andando a sinistra, da Repubblica all’Unità, alle testate extraparlamentari come Manifesto e Liberazione, ancor più vicine ad Hamas che all’Autorità Palestinese. Ma in realtà queste posizioni anti-israeliane sono abbastanza trasversali e coinvolgono in diversa misura giornali locali (per esempio Il messaggero), organi “autorevolissimi” come L’osservatore romano e la Rai.Si è scritto molto sulle ragioni di questo atteggiamento filopalestinese e in generale filoarabo in particolare ma non solo della sinistra italiana (si pensi alle rivelazioni recenti di un ex presidente della Repubblica ed ex ministro degli interni come Francesco Cossiga sull’accordo stretto coi palestinesi da un capo del governo democristiano come Aldo Moro e poi rispettato da tutti i suoi successori; o all’appoggio di Craxi a Gheddafi e all’OLP). E molto ancora ci sarebbe da studiare su questo tema decisivo per l’ebraismo italiano.Mancava invece una documentazione adeguata dei modi e delle tecniche della stampa italiana (e purtroppo non solo italiana) per esercitare la sua azione propagandistica – che ha un notevole successo, come si vede dai sondaggi che registrano un clima di opinione massicciamente sfavorevole a Israele. E’ importante dunque segnalare due libri che lavorano con competenza e intelligenza su questo tema.Il primo è quello di un giornalista italiano, Giuseppe Giannotti, che lavora al Secolo XIX e dunque ha un’ottima competenza su tecniche e procedure redazionali dei nostri quotidiani. Il libro si intitola Israele, verità e pregiudizi (Editore De Ferrari, Genova 2008). Vi si analizza in maniera dettagliata la reazione di alcune delle più importanti testate italiane agli eventi cruciali della cosiddetta “seconda intifada”, la guerra asimmetrica scatenata dall’Olp di Arafat dopo aver fatto fallire le trattative di pace di Camp David. Sono episodi che fecero molto rumore qualche anno fa: l’uccisione del ragazzino palestinese Al Doura, il linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah ripreso da una troupe di Mediaset e l’indegna lettera di scuse mandata in seguito ai palestinesi dal corrispondente della Rai Riccardo Cristiano, l’”assedio” della basilica della natività a Betlemme e la “battaglia” di Jenin e poi ancora la seconda guerra del Libano di due anni fa.Il vantaggio di scrivere a freddo è che si dispone, se non della verità assoluta, almeno di documenti di terze parti e di testimonianze su come sono andati i fatti. Da molte inchieste e soprattutto da una sentenza di un tribunale francese sappiamo oggi con certezza che Al Doura molto probabilmente non è stato affatto ucciso dal fuoco di un avamposto israeliano, ma dagli stessi palestinesi (se non si è trattato di una messa in scena totale). Da un’inchiesta dell’Onu sappiamo che a Jenin non si è avuta nessuna strage, ma solo una guerriglia urbana piegata faticosamente dall’esercito israeliano a prezzo di alte perdite per non coinvolgere i civili e che i morti sono stati quasi tutti combattenti; dalla testimonianza di giornalisti che sono entrati nella basilica subito dopo la conclusione dei fatti sappiamo che a Betlemme non vi erano rifugiati militanti ricercati ma una banda terrorista armata e violenta anche con i monaci. Da molte testimonianze sappiamo che buona parte delle immagine e delle notizie sul Libano erano organizzate da un efficiente servizio propagandistico.Gianotti ha il merito di mettere in fila questi fatti, raccontandoli con cura e intelligenza. E soprattutto quello di farceli confrontare con i fatti accertati i reportage di alcuni giornali. La scorrettezza propagandistica non solo di “giornalisti” come Cristiano, che scrive ai palestinesi di “aver sempre lavorato secondo le loro regole” (chissà quali) e di non avere mai dato notizie loro sgradite, ma anche di molti articoli di quotidiani, segnatamente di quelli di Repubblica, emerge in maniera inequivocabile da questo libro, facendone uno strumento prezioso per chiunque voglia confutare la propaganda anti-israeliana, o voglia semplicemente pensare con la sua testa su un tema così controverso.Per capire come e perché una propaganda del genere sia prodotta, vale la pena di procurarsi un libro americano, The other war di Stephanie Gutmann (Encounter Books, San Francisco - un’immagine della copertina nella foto in testa). E’ la testimonianza di una giornalista che vive in prima persona, come corrispondente in Israele, lo stesso periodo. Si legge in queste pagine non solo la psicologia assai particolare dei corrispondenti; ma anche la sociologia di un lavoro che impegna molte centinaia di persone: la dipendenza da fonti (praticamente sempre palestinesi) che hanno interesse personale a creare gli scontri che saranno poi riportati dai giornalisti per cui lavorano; i rapporti molto corporativi del gruppo dei giornalisti, l’azione dei portavoce israeliani, le forme di intimidazione fisica che i giornalisti non allineati ricevono dai miliziani quando riferiscono o peggio riprendono con le telecamere quel che in Occidente non si deve sapere. Alcuni episodi culminanti sono gli stessi studiati da Giannotti sui testi giornalistici, raccontati qui nella forma inedita e interessante della cronaca della loro cronaca.L’insieme di questi due libri mostra quanto lavoro ci sia da fare, in Israele ma anche in Italia e in Occidente per contrastare la massiccia prevalenza del politically correct anti-israeliano. Un compito cui si dedicano in pochi e con poche risorse, ma che è essenziale. Perché è evidente che l’”altra guerra”, quella delle notizie e delle menti è ancora più importante della “prima guerra”, quella sul campo. Ed è dimostrato dall’esperienza che gli odiatori di Israele (per antisemitismo nascosto, per odio di sé di certe frange ebraiche, per anticapitalismo e anti-occidentalismo deviati su Israele, per amicizia o paure della rivoluzione islamista, non si fermeranno, qualunque concessione di pace faccia Israele. Dunque anche la seconda guerra, come la prima, continuerà ancora a lungo e più della prima non lascerà immuni gli ebrei della Diaspora. http://moked.it/

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