giovedì 12 marzo 2009

Beaufort di Joseph Cedar

Amore, guerra e voglia di futuro Seconda Rassegna del Cinema Israeliano

A Milano, allo Spazio Oberdan, i grandi film e documentari del nuovo, giovane, cinema israeliano. Ma anche imperdibili classici e alcuni capolavori. Nel sud del Libano c’è un antico castello crociato, Beaufort, che da secoli, passa da una mano all’altra, dall’uno all’altro esercito. Gli israeliani lo controllano dal 1982 ma nel 2000 deve tornare nelle mani di Hezbollah. Per un giovane ufficiale dell’esercito israeliano la difesa di quel castello diventa un’ossessione, una ragione di vita; l’uomo finirà così per coinvolgere la pattuglia dei suoi uomini in azioni militari assurde e insensate contro un nemico invisibile, un fantasma, soldati immersi in un tempo dilatato, lento e metafisico. Vincitore dell’Orso d’Argento per la miglior regia al Festival di Berlino 2007, una nomination all’Oscar come miglior film straniero, Beaufort di Joseph Cedar, è una delle pellicole più attese della Seconda Rassegna del Cinema Israeliano che si svolgerà a Milano dal 14 al 19 marzo allo Spazio Oberdan, organizzata dal Cdec, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana. Dopo il successo avuto l’anno scorso, questa edizione permetterà così al pubblico milanese di guardare ai grandi miti della storia d’Israele (il Sionismo, il Kibbutz, l’Esercito, Gerusalemme città santa), come tessere di un mosaico fatto di successi e fallimenti, ideali e illusioni perdute. Una filmografia che per l’impegno dei contenuti e l’originalità delle tecniche utilizzate, ha ottenuto ormai i più importanti riconoscimenti nel mondo. “Un cinema sospeso tra reale e surreale che affonda le radici nella società, nei moti dell’animo, nella carne, ma che allo stesso tempo anela all’evasione.E’ questa la cifra del nuovo cinema israeliano. I film selezionati offrono allo spettatore la possibilità di scoprire le tendenze della nuova cinematografia israeliana e rappresentano la varietà tematica e stilistica di questo vivacissimo cinema che oggi vuole raccontare la realtà: quella sociale e politica del Paese, le storie personali, ma che al tempo stesso cerca “vie di evasione” e le trova nell’immaginario, nel surreale, nell’arte”, spiegano Dan Muggia e Ariela Piattelli, direttori artistici della Rassegna nonchè del Pitigliani Kolno’a Festival di Roma. “Il cinema israeliano di oggi punta a creare un discorso dialettico: tra la realtà che ci tiene con i piedi per terra, e la fantasia che ci permette di evadere dal reale. Beaufort di Joseph Cedar, Qualcuno con qui correre di Oded Davidoff, Noodle di Ayelet Menachemi, Vasermil di Mushon Salmona, sono film che affrontano, ognuno a suo modo, la perenne tensione tra reale e immaginario. Con Avanti Popolo di Rafi Bukai, un evergreen del cinema israeliano (è del 1986), abbiamo riproposto una pellicola indimenticabile nella quale un regista israeliano affronta per la prima volta il tema del conflitto dal punto di vista del “nemico”. In questo film memorabile è l’altra faccia della medaglia a emergere: il soldato di Tzahal scende dal piedistallo e viene portato sul campo di battaglia, un campo meno eroico e ben più rischioso. E poi i documentari, con alcune storie straordinarie: in Champagne Spy, il regista Nadav Schirman ci racconta la storia avvincente e drammatica di una spia israeliana che ha vissuto per decenni una doppia vita. Mentre in Children of the Sun di Ran Tal, viene alla luce un incredibile ritratto del kibbutz tra gli anni ’30 e ’80, in cui uomini e donne, cercando di realizzare l’ideale socialista della vita collettiva, rivoluzionavano i cardini della società.Nei documentari The House on August Street di Ayelet Bargur e The tree of life di Hava Volterra, due voci femminili affrontano il tema della memoria collettiva, partendo dalle loro storie personali e intime. Infine con The Chicken or the Egg di Alon Alsheich e Eran Yehezkel, abbiamo voluto fare un omaggio al dipartimento di cinema e televisione del Sapir College, la scuola vicina a Sderot, che malgrado i continui bombardamenti di missili Kassam provenienti da Gaza, continua ad essere una tra le realtà artistiche più interessanti di Israele”, concludono i curatori. In un momento così difficile per l’area mediorientale, questa rassegna ha la virtù di offrire un panorama cinematografico che, al di là del suo intrinseco valore, dimostra la straordinaria capacità di un paese di sottoporsi ad autocritiche spietate. Milano, Spazio Oberdan,via Vittorio Veneto 2,dal 14 al 19 marzo 2009
Dal Bollettino della Comunità Ebraica di Milano

Beaufort di Joseph Cedar
Dirigere a ventidue anni una piazzaforte in agonia con un manipolo di coetanei atterriti e inesperti è insensato ma questa storia è la storia di molte guerre volute da chi non combatte, imposte senza se e senza ma in nome di valori decisi in parlamento o nei quartier generali e poi delegati in un misto di convinzione e di inganno. Gli obiettivi sono chiari e perentori, le modalità assai meno. La storia raccontata da Joseph Cedar, benché riferita ad un episodio molto preciso e forse estremo (l’ultima settimana del plurisecolare forte di Beaufort, costruito dai crociati e conquistato in tempi ben più recenti dagli israeliani in occasione della prima occupazione del Libano) rispetta queste modalità e questa insensatezza. E’ una storia insiene estrema ed esemplare, racconta, tratta dal libro del giovane giornalista israeliano Ron Leshem, la settimana di passione di un gruppo di giovani soldati, quasi abbandonati dai loro capi ma con una missione terribile: quella di sopravvivere ancora qualche giorno ai razzi e alle granate lanciate da hezbollah prima di mettere in atto i piani per il ritiro e di dare una prova spettacolare della volontà di pace di Israele con la distruzione del forte. Non una storia di guerra la definisce il suo autore, ma la storia di una ritirata. Ma prima che questa ritirata avvenga e che il forte, il 24 maggio del 2000, esploda in una, anche simbolica, lunga fiammata, il giovane Liraz Liberti, nella piccola enclave isolata dal nemico e dalle forze amiche, dovrà condurre una tremenda battaglia, dare un senso alla vita dei giovani incastrati nell’operazione, spiegare il perché degli attacchi improvvisi e delle morti casuali dei suoi, dare un senso ai momenti di pace, dare una ragione ai sopravvissuti, e dare una sepoltura ai morti. Dovrà cercare anche di dare un senso ai morti nella difesa di quella piazzaforte che deve essere distrutta, annullando così il senso di tutte quelle morti, anche le più recenti, come quella del giovane artificiere che valuta perfettamente la pericolosità della sua missione e a cui lo stato maggiore non dà alternative (straordinaria nella sua solennità premonitrice la scena della vestizione in quella tuta difensiva che si trasformerà in sudario). In questo bel film la perdita di senso (ammesso che le guerre ne abbiano uno) è assoluta, le giovani morti sono, programmaticamente, superflue, la paura, la disintegrazione psicologica, sono, programmaticamente, effetti collaterali da dimenticare nell’attimo stesso in cui l’esplosione metterà fine al simbolo. Nessuno è al suo posto nella guerra, ma questo film diretto da un giovane e intrepretato da giovani coetanei dei personaggi rende come mai era forse stato fatto finora il senso dell’errore, delle distorsione, del tradimento che c’è in ogni guerra. http://www.drammaturgia.it/

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