mercoledì 11 marzo 2009

La mia musica è un canto di pace


Idan Raichel Ha suonato nei più grandi teatri del mondo. Star della world music, sa mescolare poesia araba canti ebraici, ritmi caraibici. Chi c’era fa fatica a dimenticarselo. Teatro degli Arcimboldi, Milano, gennaio 2008. Il pubblico che si alza, che ancheggia, che comincia a danzare piano e poi via, sempre più in fretta, che si abbandona al ritmo della musica là, sotto il palcoscenico. Una scena che si ripete a ogni concerto. Sono le melodie esotiche, i ritmi orientali, le sonorità tribali e il magnetismo inarrestabile di Idan Raichel e dei suoi musicisti, i protagonisti del suo straordinario progetto musicale: quello di unire, nella passione per la musica, dei giovani di tutte le origini, religioni e provenienze. Idolo di una nuova generazione di fan di world-music, protagonista di uno dei più interessanti metissage sonori degli ultimi anni, musicista capace di contaminare generi musicali di tutti i tipi, Idan Raichel non è oggi solo una delle grandi pop star israeliane ma soprattutto un personaggio internazionale, un talento che ha conquistato i palcoscenici del mondo, dalla Opera House di Tel Aviv al Radio City Music Hall di New York, dalla Sydney Opera House al London’s Queen Elizabeth Hall e al Kodak Theater in Los Angeles. Del resto per il Peter Gabriel d’Israele la musica è sempre stata qualcosa di mainstream, di popolare, mai di nicchia o solo per pochi eletti. Ma facciamo brevemente un po’ di storia: the Idan Raichel Project esplode sulla scena musicale nel 2002, rivoluzionando radicalmente il volto della musica popolare israeliana. Ingredienti? Una portentosa miscela di musica etiope tradizionale, poesia araba, canti yemeniti, cantillazione ebraica e ritmi caraibici. Oggi il collettivo israeliano rappresenta un esempio unico di collaborazione interculturale, accompagnando la propria musica ad un forte messaggio di pace e tolleranza, artisti provenienti da ogni parte del mondo: israeliani, yemeniti, etiopi, caraibici, sudafricani e sudamericani. Idan Raichel viene dal jazz, dal pop, dal rock ma nel 2000 decide di provare a comporre qualcosa che lo rispecchi pienamente.Ne nasce un lavoro originale e poliedrico, realizzato con 70 artisti di origini diverse, in grado di rappresentare l’eclettismo di Idan. Una chioma da rasta, una cascata di dreadlock intrecciati, la catena con la chamsa appesa al collo, 31 anni, Raichel vive a Tel Aviv, ma è nato e cresciuto nella vicina Kfar Saba. E se a 9 anni suonava timidamente la fisarmonica, nel 2002 il suo Idan Raichel Project ha realizzato quattro album per più di 200.000 copie vendute, che hanno riscosso giudizi entusiastici dei critici di tutto il mondo, recensioni del New York Times e del Billboard Magazine. In uno scenario così multiculturale, attento alle origini e peculiarità dei suoni, delle tradizioni e delle lingue di ogni dove, viene spontaneo chiedersi quale sia il legame di Idan Raichel con le sue origini ebraiche.Da dove viene la sua famiglia? A dispetto del mio aspetto fisico, sono un ashkenazita. I miei genitori sono nati in Israele, ma i nonni, come tanti, lasciarono l’Est Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, entrando così a far parte della prima generazione di ebrei scampati alla Shoah che videro nascere lo stato di Israele, tutti riuniti sotto un’unica bandiera bianca e blu. Vede, io sono un musicista contemporaneo. Come tale non amo nessuna forma di purismo: la mia storia personale, la storia della mia famiglia, mi hanno abituato fin da piccolo ad accettare ogni forma di contaminazione, di prestito da culture diverse, cosa che ha ovviamente influenzato profondamente il mio gusto musicale e molte delle mie scelte.Mi perdoni: lei mangia kasher? È shomer shabbat?Né l’una né l’altra cosa: sono nato in Israele, da una famiglia laica. L’essere israeliano implica che la lingua comune a tutti sia l’ebraico e che si festeggi tutti insieme le feste. Non sono religioso, se intendiamo i gesti o le mitzvot della vita di tutti i giorni, ma sono profondamente influenzato dallo studio della tradizione, che vivo come qualcosa di mio, una ricchezza culturale enorme, un patrimonio di saggezza da cui attingere in ogni momento della mia vita.E in che modo precisamente? Credo in generale che il Tanach, il Pentateuco, l’esegesi toranica e il pensiero ebraico che si sono avvicendati nei secoli, siano una meravigliosa fonte di energia e di ispirazione per ogni artista. Un nutrimento costante. La vivacità con cui molti studiosi hanno saputo interpretare la tradizione alla luce degli avvenimenti del loro tempo, la loro capacità di rendere vivo e attuale l’insieme del sapere ebraico, ecco tutto questo mi sbalordisce sempre. In effetti, la sua musica ha un che di mistico: percussioni, suoni mutuati dal mondo naturale, canti e salmodie che rieccheggiano un modo arcaico di vivere la spiritualità.Molti parlano di misticismo sonoro ascoltando le sue note. Lei che ne pensa? Nei miei brani si possono trovare testi e canti ripresi dalla nostra tradizione religiosa, cosa peraltro molto diffusa oggi nella musica israeliana contemporanea. E poi guardi, penso che l’arte, in generale, possa essere il modo migliore per condividere con la gente quei valori universali che sono parte integrante dell’ebraismo.Quale tipo di vincolo la tiene così legato a Eretz Israel? C’è un legame spirituale, certamente. Ma attenzione, mi sento fieramente e totalmente sionista. E da poco mi sono reso conto di quanto sia importante per noi la dialettica con i galuthìm, gli ebrei della diaspora, il loro sostegno, la loro empatia. E poi, confesso, non posso scindere in nessun modo il mio essere artista con le mie origini. Essere ebreo, artista e israeliano sono una cosa sola dentro di me, inscindibili. Fuori da qui, da Israele, non so se potrei essere quello che sono. E poi rientra nelle mie responsabilità mostrare al mondo le diverse facce di Israele. E il modo migliore per farlo è quello di creare della buona musica. E far lavorare insieme genti diverse, qualsiasi sia la loro origine, etnia, religione.Come vede il processo di pace?La pace è vivere insieme, non convincere l’altro delle tue ragioni. La nostra capacità di vivere in pace l’uno con l’altro dipende dalla nostra capacità d’imparare ad apprezzare e rispettare le nostre differenze. La via del futuro non è cercare di cambiare il tuo vicino, ma accettarlo così com’è ed accettare che tutti cercano le stesse cose nella vita: pane, acqua, spirito, rispetto e amore.
di Deborah Peters http://www.mosaico-cem.it/

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