domenica 29 novembre 2009


Israele congela gli insediamenti in Cisgiordania

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato il congelamento per 10 mesi della costruzione di nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania. Si tratta di una decisione storica, di un primo concreto passo in avanti del governo di Tel Aviv per la ripresa del dialogo con l'Autorità Nazionale Palestinese; tuttavia, l'annuncio di Netanyahu è un parziale ammorbidimento delle posizioni israeliane sulla questione dei nuovi insediamenti. Se infatti la volontà del premier conservatore punta all'apertura di una trattativa efficace con i palestinesi, ampi settori del suo governo, ad iniziare dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, insistono su una politica a senso unico basata sull'espansione degli insediamenti dei coloni ebraici.
Questa divergenza di vedute sulle questioni base di Israele è una costante dell'esecutivo Netanyahu, dovuta all'eterogeneità dei suoi componenti: se si eccettua il partito conservatore moderato del Likud, di cui è autorevole esponente il primo ministro, il resto del compagine governativa si divide tra i partiti di forte ispirazione religiosa, come gli ultraortodossi di Shas, e le formazioni politiche su base culturale e linguistica, come Israel Beitenu, il movimento di Lieberman cui fanno riferimento gli immigrati russofoni giunti in Israele negli ultimi anni, tant'è che nell'ultima campagna elettorale di questo partito campeggiavano manifesti bilingui, in ebraico e russo.
Ben conscio di questa situazione, per sbloccare l'impasse sugli insediamenti Benjamin Netanyahu non ha puntato sulla Knesset, il parlamento israeliano, bensì sul ristretto Consiglio di difesa, storicamente usato dai primi ministri per approvare velocemente decisioni cruciali di ordine militare o di politica estera. La decisione di Netanyahu ha due motivi: il primo di ordine interno, per cui è chiaro a tutti gli alleati di governo che le pastoie e le lungaggini della mediazione politica non sono più percorribili, il secondo in chiave estera, per accreditare il premier come unico soggetto di confronto in politica estera.
Se la mossa del primo ministro israeliano è stata sicuramente coraggiosa, anche in virtù dei complicati equilibri politici nell'esecutivo, si tratta solo di un primo passo in direzione della stabilità. A conferma di ciò vanno le dichiarazione del segretario di Stato Usa Hillary Clinton, secondo cui il congelamento temporaneo «aiuta a fare progressi nella risoluzione dei contrasti», ma l'obiettivo resta «uno Stato palestinese indipendente basato sui confini del 1967». Infatti, se la decisione di congelare gli insediamenti in Cisgiordania è in sintonia con gli auspici della Casa Bianca, a Washington è ben chiaro che la questione di Gerusalemme est, punto cruciale di tutto lo scenario medio-orientale, non è stata affrontata da Israele. Per questo motivo, la soddisfazione può essere solo parziale; attualmente per Israele, lo status della città di Gerusalemme, e in particolare la sovranità sui quartieri orientali della città, è una questione separata dagli accordi con l'Autorità Nazionale Palestinese. I palestinesi hanno infatti giudicato inadeguata la proposta di Israele proprio per questo motivo: il primo ministro Salam Fayyad ha ribadito come «l'esclusione di Gerusalemme est dal congelamento degli insediamenti è un serio problema». Inoltre, se sugli insediamenti la trattativa riguarda solamente le autorità israeliane e palestinesi, lo status di Gerusalemme, dato l'enorme valore simbolico e religioso che la città riveste, riguarda anche tutto il resto del mondo arabo e islamico.
Risulta quindi evidente come l'ammorbidimento anche parziale di Israele su Gerusalemme costituisca lo step successivo, e di grandissima importanza, per consentire un accordo tra israeliani e palestinesi. In ogni caso, le incertezze politiche sia nel governo israeliano sia nell'Anp non aiutano ad arrivare alla soluzione dei contrasti; la decisione del presidente Abu Mazen di non ricandidarsi, peraltro definita «non irrevocabile», aumenta le incertezze nell'Anp, divisa tra chi punta ad un accordo con Israele e chi auspica una oramai quasi utopica, e in più molto pericolosa, unità dei palestinesi, puntando ad una parziale riconciliazione con Hamas.
Nel campo israeliano, si conferma invece la tensione strisciante tra i movimenti dei coloni, con forti appoggi nel governo, e il premier Netanyahu. Danny Dayan, capo del consiglio di Yesha, la principale organizzazione colonica, ha alzato il tiro nelle dichiarazioni, affermando che «Netanyahu è stato eletto per rilanciare le colonie ma adesso passa alla loro persecuzione e liquidazione». Nei fatti, tuttavia, questo arroccamento dei coloni israeliani sulle loro posizioni li sta alienando dinnanzi all'opinione pubblica, che invece guarda con favore ad una rapida ripresa delle trattative. La decisione di Netanyahu di congelare gli insediamenti è certamente un importante passo in avanti, tenuto conto soprattutto degli orientamenti che parte delle maggioranza ha in materia. La pragmatica abilità di Netanyahu nella mediazione ha portato ad un compromesso nel complesso accettabile, anche se certamente migliorabile. Un mezzo passo in avanti. 27 novembre 2009, http://www.ragionpolitica.it/

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