lunedì 7 dicembre 2009
Boy and girl Haganah members. Tel Aviv, Israel. 1948
L’amicizia perduta tra Ankara e Gerusalemme
L’incantesimo si è spezzato. Le relazioni un tempo idilliache tra i due paesi stanno precipitando, inghiottite dalla svolta islamico-moderata della Turchia e dalla fine delle speranze di entrare in Europa La tensione che caratterizza da tempo i rapporti tra Gerusalemme e Ankara è grave e Israele può fare assai poco per correggere questa situazione’’: questo il preoccupato commento di Allon Liel, ex-direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano e prima ancora per alcuni anni console a Istanbul con tuttora buoni legami con l’establishment politico turco.Il commento di Liel appare tanto più amaro se visto alla luce di 60 anni di relazioni tra i due Paesi, cominciate nel 1948, quando la Turchia fu tra i primi Stati al mondo a riconoscere il neonato Stato ebraico.Nella concezione di Ben Gurion la Turchia rientrava in una rete di alleanze periferiche con Israele, che includevano anche l’Iran dello Scià Reza Pahlevi e l’Etiopia di Hailè Selassie, volte ad attorniare un mondo arabo ostile.Per molti anni la Turchia preferì non ostentare le relazioni con Israele, tanto da provocare l’indispettito commento di Ben Gurion: “I turchi si comportano con noi come se fossimo un amante e non un partner in un matrimonio alla luce del sole’’.L’inizio degli anni Novanta, con la fine della guerra fredda e l’inizio del processo di pace israelo-palestinese, indussero il governo di Ankara a decidere di aprire una nuova pagina nelle relazioni con Israele, questa volta alla luce del sole. I rapporti tra i due Paesi conobbero uno sviluppo caratterizzato da una dinamica impetuosa, evidenziato da una fitta serie di accordi, incluso uno di libero scambio nel 1996. Tanto da dare alle relazioni una dimensione davvero strategica. In campo militare la collaborazione tra le due forze armate divenne molto stretta, al punto che l’aviazione israeliana ebbe anche il permesso di addestrarsi nello spazio aereo turco, mentre alle industrie militari israeliane andarono ingenti commesse. Si infittirono inoltre gli scambi commerciali, passati da 200 milioni di dollari nel 1992 a 3,4 miliardi nel 2008, mentre per centinaia di migliaia di israeliani la Turchia diveniva meta turistica preferita, anche per il suo basso costo. Erdogan e i palestinesiNel 2002 la vittoria alle elezioni del partito Giustizia e Libertà (designato dall’acronimo AK), a orientamento islamico moderato, suscitò in Israele i primi timori di un cambiamento nelle relazioni, alla luce dell’aperto sostegno del premier Recep Tayyip Erdogan alla causa palestinese. Dalle critiche, inizialmente sommesse, a Israele si è passati progressivamente ad attacchi sempre più aspri, accentuatisi soprattutto dopo l’operazione Piombo Fuso a Gaza, fino ad arrivare al recente veto turco circa la partecipazione dell’aviazione israeliana a un’esercitazione aerea assieme a Italia e Usa in Anatolia, e alla grottesca accusa del premier turco che Israele avrebbe minacciato di usare l’arma nucleare contro Gaza. E c’è chi sostiene che molto probabilmente nella veemenza degli attacchi di Erdogan a Israele sia presente una forte componente di astio personale. Nuove alleanzeMalgrado le assicurazioni del nuovo ambasciatore turco Ahmet Oguz Celikkol sull’importanza delle relazioni tra i due paesi, è chiaro che queste sono entrate in una fase involutiva. Quello in corso in Turchia è in effetti un riorientamento della politica estera di Ankara nella regione mediorientale. Il Ministro degli Esteri Ahmet Dovutoglu, stretto confidente di Erdogan, l’ha definita una politica “di zero problemi con i vicini’’, di chiusura di conti col passato e che nei fatti si sta manifestando in una serie di intese e di accordi di cooperazione e di rapporti di buon vicinato con Siria, Iran, Iraq, nel recente accordo con l’Armenia di normalizzazione delle relazioni dopo un’ostilità secolare e nel riconoscimento di più ampi diritti culturali e politici alla minoranza curda. Approfittando dell’attuale scarsa assertività della presenza Usa nella regione, la Turchia, che non sembra più nutrire troppe speranze di adesione all’Unione Europea, sembra orientata a svolgere un ruolo di potenza regionale pur restando nella Nato. Egemonia regionale Non a caso infatti Ankara si è avvicinata ai Paesi della regione intensificando con questi le sue esportazioni, salite a 31 miliardi di dollari nel 2008 (sette volte più del 2001). Una politica che non mostra troppo riguardo per gli interessi occidentali e di Israele e che è facilitata dalla progressiva neutralizzazione nella vita del paese del peso delle Forze Armate filoccidentali, che si sono sempre ritenute guardiane della costituzione laica turca.A questo fenomeno si accompagna inoltre l’emergere di una moderna classe dirigente musulmana, con radici culturali in Anatolia, a spese della borghesia laica, aperta e cosmopolita di Istanbul, una classe sociale soprattutto che ha sempre visto nell’Occidente un modello di riferimento. Ma oggi il carisma di Erdogan, il suo gradimento presso l’opinione pubblica turca sono alle stelle. Appare quindi evidente che i cambiamenti in atto in Turchia, dove pure il fenomeno di islamizzazione di una parte della popolazione è sempre più chiaro e dove il partito Ak appare solidamente al potere, sono verosimilmente strutturali e di lunga durata. Non è buon segno per il futuro dei rapporti “strategici’’ israelo-turchi. Che sembrano giunti a una svolta, ahimè non positiva. Un altro nemico da aggiungere alla lista.di Giorgio Raccah http://www.mosaico-cem.it/
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