martedì 12 gennaio 2010


Giaffa

Rassegna stampa

Come hanno ammonito nei giorni scorsi alcuni fra i più autorevoli ufficiali israeliani, la calma degli ultimi mesi nel sud di Israele rischia di finire presto e di dar luogo a una nuova guerra con Hamas. Si moltiplicano intanto gli scontri minori. Gruppetti che non sono Hamas, ma che evidentemente sono autorizzati dall'organizzazione terroristica dominante nella striscia provano a sondare le difese israeliane, lanciando razzi e colpi di mortaio e scavando tunnel in direzione del territorio israeliano (uno era penetrato di un chilometro, a quanto si è letto), da cui fare incursioni e rapire soldati. Israele è più reattivo che nel passato, non ha intenzione di tollerare i razzi e le altre aggressioni, come ha dichiarato ieri Netanyahu e ha ribadito il comando di Tsahal (L'Unità). Ieri è stato colto sul fatto e eliminato un terzetto di "artiglieri" terroristi della Jihad islamica (Corriere, Mattino). E' probabile che questa tendenza prosegua, anche perché Hamas si è vista sfuggire per ora il colpo propagandistico dello scambio di prigionieri (ieri Netanyahu ha dichiarato che non intende liberare figure simboliche del terrorismo né permettere ad assassini di tornare in Giudea e Samaria). E soprattutto perché l'Egitto sembra deciso a fortificare il suo confine con Gaza in modo che cessi il contrabbando attraverso i tunnel: una scelta su cui già monta la mobilitazione islamista internazionale, affiancata in Italia da comunisti ed ex (De Giovannangeli sull'Unità).Un altro tema che dà segni di risveglio è quello delle pressioni americane su Israele perché continui il cedimento nei confronti dei palestinesi, anche senza ricevere niente in cambio. Israele ha fatto delle concessioni significative, col blocco di dieci mesi delle attività edilizie in Giudea e Samaria, i palestinesi si sono limitati a rifiutare il ritorno al tavolo delle trattative, i paesi arabi hanno negato ogni concessione, anche di pura forma. Ma l'amministrazione Obama, per uscire dall'empasse, in buona parte provocata da lei stessa sottolineando il tema dell'attività edilizia, non sa trovare di meglio che minacciare Israele, questa volta di bloccare la garanzia sui suoi prestiti internazionali, come ha fatto nei giorni scorsi l'inviato americano Mitchell in televisione, anche se subito dopo ha innestato una marcia indietro formale, dicendo che non era affatto un'ipotesi concreta, ma solo una possibilità (Giorno Nazione Carlino). E' l'arma che fu già usata da Bush senior, ai tempi in cui il suo ministro degli esteri Baker diceva di "essere stufo di questi giudei". Ma allora c'era da assorbire l'alyah dell'ex URSS, e l'economia israeliana annaspava. Oggi Israele è uscito bene dalla crisi economica e non sembra così dipendente dall'appoggio americano in questo campo. Vale la pena comunque di notare un altro segno del "tough love" (amore tosto) dell'amministrazione americana nei confronti del suo miglior alleato in Medio Oriente.Per fortuna le cose sono più complesse, al Congresso vi è stata una reazione forte contro l'ipotesi di Mitchell e su un altro fronte il generale Petraeus (quello che ha rovesciato le sorti della guerra in Iraq) ha confermato che il Pentagono sta studiando la neutralizzazione militare dell'apparato atomico iraniano e la ritiene possibile (Marina Verna sulla Stampa). Da segnalare infine che in Iran anche un'inchiesta del regime ha confermato che nelle prigioni i dissidenti sono maltrattati a morte (Mastroluca sull'Unità). Ugo Volli, http://www.moked.it/

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