venerdì 8 gennaio 2010


“Il canto delle spose” di Karin Albou: ebrei o musulmani, comunque “maschilisti”

di Gianfranco Cercone, http://www.radicali.it/newsletter/
Le ragioni di interesse di un film non sono sempre soltanto artistiche. Per esempio “Il canto delle spose”, della regista francese Karin Albou ha anche il merito di raccontare una realtà storico-sociale dimenticata o ignota ai più. Il suo film è ambientato a Tunisi, nel corso della seconda guerra mondiale, e precisamente al momento dell’occupazione nazista della città. La Tunisia era allora una colonia francese. E in Francia era stato instaurato il governo collaborazionista del maresciallo Petain. Così anche a Tunisi soldati tedeschi e francesi “collaboravano”: per esempio, al rastrellamento degli ebrei. Nel contempo la Tunisia veniva bombardata dagli aerei statunitensi.Tale contesto storico interessa la regista in particolare per mettere in luce come la guerra abbia lacerato l’armonica convivenza, fino ad allora consolidata, tra ebrei e musulmani. Una convivenza conforme ad almeno un passo del Corano, citato nel film: quello che predica la concordia tra religioni monoteiste. E invece, ecco che i nazisti fomentano l’antisemitismo degli arabi; inveiscono, già allora, contro gli intrusi ebrei in Palestina; additano gli ebrei come i responsabili della guerra e delle disuguaglianze sociali in Tunisia; e accusano gli americani di difenderli. Convincono così una parte della popolazione musulmana a collaborare con loro denunciando la presenza di ebrei sul territorio.I collegamenti di questa pagina di storia con l’attualità sono evidenti; senza tuttavia che la regista ne tragga esplicite conclusioni. Le affida alla riflessione dello spettatore. Di certo le sta a cuore un invito alla tolleranza, di cui è emblema nel film l’amicizia fra due ragazze, una ebrea, l’altra musulmana. Un’amicizia che – dopo qualche scossone – resiste alla propaganda nazista. Non è un caso che le protagoniste siano proprio fra due ragazze; perché l’altro tema portante del racconto è l’oppressione della donna nella società dell’epoca, tanto fra i musulmani quanto fra gli ebrei.Si parla dei matrimoni combinati, nei quali la ragazza veniva mercanteggiata dal futuro sposo con i suoi genitori (e il suo consenso non era determinante); e dell’obbligo per la donna di presentarsi vergine alla prima notte di nozze. Si assiste a una scena molto cruda: la rasatura del pube della ragazza ebrea, richiesta dal marito, appunto per la prima notte di nozze (secondo l’uso orientale, viene detto). Tale rasatura è praticata da una donna matura, evidentemente esperta in queste faccende, applicando sulla parte del corpo interessata, del caramello fuso. E’ un procedimento doloroso, che viene descritto nei dettagli e in tutte le fasi, finendo così per assumere il valore di un simbolo: il simbolo di una violenza contro le donne che è più generale e ha tante sfaccettature.Ho anticipato che “Il canto delle spose” ha forse più ragioni di interesse storico-politico, che artistico. Ma beninteso, non è per nulla un brutto film. Forse, come accade ai film dove l’interesse dell’autore per il contenuto prevale sul piacere di raccontare, i personaggi e i fatti sono a volte un po’ schematici; proprio perché in funzione di un messaggio da comunicare; di un male “civile” da denunciare.Eppure il film annovera alcuni momenti senz’altro belli. Fra gli altri, quelli in cui si descrive la società femminile dell’epoca. Dico: “società femminile”, perché in un contesto così rigidamente maschilista, le donne hanno riti, costumi e spazi, separati da quelli degli uomini. Che ci si trovi nella piscina dell’hammam (il bagno turco), o fuori dalla camera da letto dove si celebra il primo amplesso coniugale (nell’attesa che lo sposo ne esca esibendo il lenzuolo macchiato di sangue), le donne appaiono spesso ingenuamente festose, in maggioranza ancora non sfiorate dalla coscienza della propria oppressione; oppure rassegnate al dolore come se si trattasse di un destino naturale.Nel bagno turco, poi, tra i balli e gli scherzi, prende corpo, soltanto allusa, tra i corpi delle donne, una tensione omosessuale; di quella particolare omosessualità che è incentivata dalla repressione dei rapporti eterosessuali.

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