lunedì 22 febbraio 2010


campo prigionia di Atlit - Hof Hacarmel

Obama riparte da Russia e Israele

Sono appena rientrato da New York, dove ho parlato con diverse persone che certo non fanno la politica americana, ma la commentano pubblicamente e concorrono non poco ad influenzarla. Fra di loro il presidente del Council on Foreign Relations, Richard Haas, e il suo predecessore, Leslie Gelb. Ho avuto anche modo di incontrare Ted Sorensen, indomabile kennediano e oggi sostenitore convinto di Obama. il clima è tutt'altro che buono e le analisi sono spesso cataloghi di difficoltà più ardue del previsto e di errori e contraddizioni del presidente nell'affrontarle Obama contava sulla propria capacità di ottenere consensi trasversali e di costruire così un clima bipattisan attorno alle sue iniziative e invece mai come con lui la radicalizzazione dello scontro poli- tico è stata tanto elevata. I repubblicani non gli danno tregua né sulle grandi nè sulle piccole cose e un'opinione pubblica sgomenta per un tasso di disoccupazione che tocca ormai milioni di famiglie è sensibilissima a queste critiche (proprio ieri l'ex governatore repubblicano del Massachusetts, Mitt Romney, dichiarava solennemente che il presidente non è riuscito ad aggiustare l'economia e a creare nuovi posti di lavoro e ha quindi fallito). Sul piano internazionale il passaggio dalla aggressività al dialogo non sta dando nessun frutto con l'Iran, che continua a essere un interlocutore intrattabile e verso il quale ci si sente ora costretti a inasprire sanzioni, che potrebbero alla fine fallire. Tanto più che verso la Cina Obama è stato prima troppo morbido e ora improvvisamente duro, creando un clima di conflitto che di sicuro non lo aiuterà a chiudere il cerchio delle sanzioni contio Teheran. Per non parlare dell'Afghanistan, dove manda nuove truppe, proclama che il ritorno a casa inizierà a metà 2011 e poco dopo dallo staff una voce autorevole precisa che naturalmente dipenderà dalle circostanze. Insomma, le difficoltà ci sono e qualcosa nell'amministrazione di sicuro non va. Non tutti seguono gli stessi indirizzi, si sovrappongono visioni diverse e sembra che il presidente pon riesca per ora a fare l'amalgama. Leslie Gelb ha di sicuro esagerato nella sua ultima colonna sul The Daily Beast, proponendo dettagliatamente a Obama i nomi da sostituire e quelli da introdurre nella sua squadra per migliorare le cose. Ma nessuno nega che qui le cose vadano migliorate, così come nessuno nega che vi sono questioni cruciali su cui non si sono fatti passi avanti perché è mancata una vera strategia. E in testa a questa lista c'è la questione israelo-palestinese, nella quale si è puntato tutto su una riduzione preventiva degli insediamenti israeliani nei territori destinati ai palestinesi, che il primo ministro israeliano Netanyahu non voleva e forse non poteva politicamente dare. Fotografata così, la presidenza Obama, se non giustifica la condanna senza appello pronunciata da Romney, mostra un percorso talmente avaro di successi da mettere in dubbio la forza stessa degli Stati Uniti nei prossimi mesi e anni (oltre che la rielezione del presidente nel 2012). Ma è una fotografia corretta, non è deformata dal clima corrosivo creato dall'opposizione e dalle simmetriche ansie dei sostenitori, che avevano sperato in una trionfale cavalcata del nuovo messia? In una situazione che non potrebbe essere più difficile tutte le opzioni sono aperte, anche le più negative; e tanto più lo sono se gli errori persistono e se la squadra del presidente continua a non essere tale. Ma non c'è solo questo. Intanto il tema che sta più a cuore agli americani, il futuro dell'economia e dei posti di lavoro, può diventare col tempo la carta vincente di Obama. Per ora può dire, come ha detto mercoledì scorso, che il suo piano ha evitato un vero e proprio disastro e ha consentito un inizio ormai certo di ripresa. Più avanti, se la ripresa continua; potrà anche rivendicare il ritorno dell'occupazione e lavorare al ridimensionamento del bilancio federale in un clima assai meno oppressivo di quello di oggi. Nel frattempo, la nuova fermezza che sta dimostrando contro i baroni della finanza lo aiuta a mantenere il contatto con le famiglie e i ceti pi colpiti dalla crisi. Sul piano internazionale, un risultato che la nuova amministrazione ha ottenuto e che avrà effetti su diverse questioni sul tappeto è la nuova relazione con la Russia. Ci si è arrivati premendo il tasto giusto, quello della ripresa dei negoziati sul controllo degli armamenti, che soddisfa l'orgoglio dei russi quali interlocutori di rango mondiale. Certo si è che proprio in questi giorni essi hanno sospeso l'invio a Teheran dei sistemi antimissilistici s-300 e sono pronti a concorrere alle sanzioni contro il regime iraniano, spingendo la Cina altrimenti isolata in Consiglio di sicurezza più al negoziato di merito sulle stesse sanzioni che non a vietarle. Non solo, ma tutto questo si collega al clima nuovo che c'è a Mosca nei confronti di Israele: si rivendica la quota importante di popolanione israeliana che proviene dalla Russia e si cominciano a delineare interessi comuni. E stato proprio dopo la visita di Netanyahu a Mosca di qualche giorno fa che è arrivata la sospensione degli s-300 già destinati all'Iran e questo di sicuro sarà fonte di riflessione a Teheran, se lì si vorrà andare avanti con l'arricchimento dell'uranio facendo finta di niente. Ancora a proposito di Israele, è vero che il negoziato coi palestinesi è al palo, ma è non meno vero che le cose nel la West Bank stanno evolvendo in una direzione che rafforza l'Autorità Palestinese e può ridurre le resistenze e le diffidenze israeliane, rendendo così possibile domani ciò che è impossibile oggi: l'economia cresce a ritmi superiori al 6% (e già Israele ha silenziosamente ridotto i controlli su chi si muove per lavoro), mentre Hamas sta perdendo sia il controllo delle moschee, sia la capacità di offrire alle famiglie quei servizi sociali che tanto avevano alimentato i suoi consensi. Sono solo alcuni dei cambiamenti positivi che fanno parte del quadro, così come lo è il clima diverso che c'è nei confronti degli Stati Uniti all'Onu, dove molto più facilmente di ieri essi trovano oggi interlocutori disposti ad ascoltare e farsi convincere.Nell'enunciare giudizi e aspettative, perciò, anche di essi si deve tener conto. In più c'è da chiedersi dove andranno i repubblicani con l'opposizione senza quartiere che hanno instaurato. Se finiranno attratti dall'estremismo del movimento dei Tea Party, nelle elezioni presidenziali del 2012 difficilmente potranno coagulare una maggioranza. E dopo, forse, l'aria di Washington tornerà respirabile. Non c'è dunque ragione di cedere all'isteria delle critiche e alla tentazione, al fondo suicida, di bruciare al più presto ogni idolo per cercarne un altro. Obama ha ancora un domani. Giuliano Amato, Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 2010

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