mercoledì 24 febbraio 2010


kibbutz Sde Boker - università


L’indifferenza di fronte al pericolo del prossimo

“Una vita si è spenta solo perché nessuno ha chiamato i soccorsi”: questa la notizia pubblicata su La nuova Ferrara. Sahid Belamel, un giovane marocchino, chiede aiuto ai passanti in ginocchio, implorandoli di aiutarlo a tornare a casa. Riesce a fermare un taxi mostrando i soldi al conducente che, però, non lo accoglie. I passanti non si fermano e non trovano neanche il tempo per telefonare al servizio di emergenza 118. Un tempo si diceva che in Italia non avremmo mai potuto raggiungere questo livello di indifferenza già superato in altri Stati. La paura non può giustificare il mancato soccorso. Uno dei precetti che contraddistinguono il percorso che porta alla Kedushà (santità) consiste proprio nel “non restare indifferente di fronte al pericolo del prossimo” (Levitico 19: 16), anche se intervenendo si può andare incontro a fastidi e problemi.Al di là delle dichiarazioni, la società occidentale è molto lontana dall’aver assunto, tra le proprie radici, le regole più elementari della convivenza civile già scritte nella Bibbia.Secondo il Sefer Hachinnukh, l’aiuto prestato al prossimo non è gratuito: anche noi domani potremmo averne bisogno, ma anche a noi, così agendo, nessuno presterà soccorso.Alan Turing, uno dei padri dell’informatica, affermò che “lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo a causa di una valanga o la sua salvezza”. Ogni nostra singola azione o non azione potrà determinare imprevedibilmente il futuro.Quale sarà il futuro di coloro che non hanno soccorso il povero ragazzo decretandone la morte?.rav Scialom Bahbout, http://www.moked.it/

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