mercoledì 3 febbraio 2010


Rehovot - istituto Weizmann


Chi vincerà la guerra dei giornali? Israele e la stampa

Un nuovo tabloid minaccia l’impero di Yediot Ahronot e rischia di far chiudere il glorioso quotidiano Maariv. Distribuito gratis, Israel HaYom appoggia Netanyahu e sbaraglia la concorrenza. Ma con la free press che ne sarà della libertà d’espressione? Il dibattito infuria. "Non ci fermeremo, né davanti ad ostacoli né di fronte ad altri impedimenti. Non sarà possibile impedirci di diventare il primo quotidiano, di rappresentare la fonte principale di informazione attendibile in Israele. Presto Israel ha-Yom (Israele Oggi - www.israelhayom.co.il) sarà il giornale Numero Uno di Israele”: così, in una tiepida mattinata di fine dicembre a Tel Aviv, si esprimeva l’uomo d’affari statunitense Sheldon Edelson, il business-man ebreo più ricco al mondo, che lo finanzia. Parole accolte dagli scroscianti applausi dei dipendenti del quotidiano, distribuito gratuitamente negli ultimi due anni nel centro di Israele e nei principali mezzi di trasporto di massa per i pendolari. Ormai la sua circolazione tocca le 250 mila copie, con un numero di lettori complessivi stimato in un milione.Nelle gloriose e vetuste redazioni giornalistiche di Tel Aviv - quelle di Yediot Ahronot, Maariv e Haaretz - l’ingresso del nuovo protagonista ha avuto l’effetto di un terremoto. In un mercato già indebolito dalla concorrenza della televisione e di internet e dal costante calo della pubblicità, la “magagna Edelson” proprio non ci voleva. Nei prossimi mesi, di certo, la battaglia infurierà anche perché almeno un giornale - Maariv - si gioca la sopravvivenza. Da parte sua Yediot Ahronot, che nell’ultimo decennio era divenuto di fatto un giornale “monopolista”, ossia più diffuso da solo che non tutti gli altri concorrenti messi assieme, deve adesso fare i conti con un rivale che minaccia la sua leadership. Se da questo scontro titanico scaturiranno sviluppi buoni o cattivi per la libertà di informazione, resta da vedersi. Vent’anni fa un altro tabloid, il progressista ed innovativo Hadashot, fu crudelmente stritotalato nella concorrenza fra Maariv e Yediot Ahronot. Ancora oggi c’è chi lo ricorda con rimpianto.La nascita di Israel ha-Yom avviene nel 2008 quando il Likud di Benyamin Netanyahu è ancora un modesto partito di opposizione ed Ehud Olmert guida Kadima fra crescenti difficoltà per il moltiplicarsi delle inchieste giudiziarie nei suoi confronti. Da tempo Edelson è indignato per quello che gli sembra essere uno scarso patriottismo da parte della stampa israeliana: concepisce dunque un mezzo stampa popolare che declami le ragioni del Likud e infierisca su Olmert finché questi non sia costretto a gettare la spugna. Il fiuto non lo inganna. Sceglie un direttore di prestigio: Dan Margalit, ex columnist di Haaretz, ex direttore di Maariv, stimato conduttore televisivo e protagonista di una clamorosa querelle con Olmert, con cui in precedenza era legato da amicizia. Decide poi che il nuovo giornale sarà consegnato gratuitamente ai pendolari e distribuito nella cassette postali di molti rioni residenziali. Presto Yediot Ahronot e Maariv avvertiranno un calo nelle loro vendite. Haaretz, da parte sua, cercherà di andare ai ripari con un accordo strategico con Israel ha-Yom, mettendogli a disposizione la sue rotative. Di conseguenza per lui l’aumento della tiratura del nuovo giornale significa nell’immediato maggiori entrate, che compensano perdite nella pubblicità.Secondo dati pubblicati dalla compagnia TGI alcuni mesi fa, Yediot Ahronot resta comunque il primo giornale con una diffusione del 34,2 per cento fra quanti leggono almeno un quotidiano al giorno (calo del 4,7 per cento rispetto all’anno precedente); Israel ha-Yom balza al secondo posto con un diffusione del 26,9 per cento (+16 per cento, in un anno); Maariv slitta al terzo posto (14,4) e Haaretz al quarto (7,5). Un assalto ostile? Nella sua breve visita a Tel Aviv, Edelson ha così spiegato le ragioni del successo: “Dobbiamo sempre dire la verità. Diretta, senza fronzoli. Obbedire alla legge. Essere onesti ed equilibrati. Controllare i fatti. Ricordare sempre che siamo ebrei ed israeliani (lui in realtà non ha la cittadinanza israeliana, ndr), garantire libertà assoluta ai nostri giornalisti’’. Anche se fra le sue firme vanta esponenti di sinistra (Yossi Beilin, lo scrittore Yehoshua Sobol e altri), non c’è dubbio che Israel ha-Yom “fa un tifo caloroso” per Netanyahu, attenuando al massimo le critiche quando non c’è proprio scelta e sostenendolo con passione anche come quando - dopo un teso incontro con Barack Obama - altri mezzi stampa locali avevano ricavato l’impressione di un buco nell’acqua. Ma il problema principale rappresentato da Israel ha-Yom è se un Paese democratico possa accettare la presenza di un quotidiano schierato politicamente e distribuito gratuitamente con una tiratura pressoché illimitata. Se sia cioè accettabile che esso metta in crisi quotidiani che devono invece cimentarsi con le ferree leggi dell’economia.Alla Knesset, su pressione di Maariv, alcuni deputati hanno cominciato a lavorare su una bozza di legge che dovrebbe vietare a chi non sia cittadino di Israele di possedere un quotidiano. Un ostacolo che Edelson comunque aggirerebbe facilmente perché sposato con una israeliana. Yediot Ahronot ha preferito rivolgersi a Netanyahu affinché dissuadesse Israel ha-Yom dal varare una edizione del week-end con tre supplementi: ma il premier non ha voluto immischiarsi. Maariv ormai si sente con l’acqua alla gola. “Potrebbe un fornaio sopravvivere se, nella strada di fronte, tutti i giorni, fosse distribuito alla popolazione pane magari meno nutriente, ma gratuito?”, si è chiesto allarmato il suo opinionista Ben-Dror Yemini. Il progetto “dell’americano Edelson’’ (che ha fatto i soldi gestendo casinò) di imporre Israel ha-Yom come primo giornale di Israele, non deve dunque allarmare gli israeliani? “La nostra libertà di espressione e la nostra democrazia si trovano sotto la minaccia di un assalto ostile, devastante, senza precedenti, sferrato dall’esterno”, avverte Ben Caspit, un altro opinionista di Maariv. Yediot Ahronot e Maariv hanno iniziato il 2010 claudicanti, con copie distribuite nelle strade al prezzo politico di uno shekel (20 centesimi di euro) o anche gratis: purché qualcuno le prenda in mano. Il giornalismo israeliano, concordano in molti, sta per affrontare una battaglia critica, forse una delle più importanti nella sua storia.Deputati arabi alla Knesset:il problema della lealtà Nel torpore della televisione educativa israeliana, una pacata intervista pomeridiana si è bruscamente infiammata quando il leader del partito arabo Balad, Jamal Zahalka, ha affermato che durante l’operazione Piombo Fuso il ministro della difesa Ehud Barak “ascoltava musica classica e al tempo stesso uccideva bambini palestinesi’’. “Il loro sangue urla dalla terra’’, ha insistito il parlamentare. “Sfacciato’’, è esploso l’intervistatore Dan Margalit, direttore del quotidiano (filo-Likud) Israel ha-Yom: “Lasci subito questo studio’’. Su richiesta del partito Israel Beitenu di Avigdor Lieberman la questione della “fedeltà” allo Stato di Israele dei deputati arabi alla Knesset è stata esaminata da una commissione ministeriale. Idealmente, sul “banco degli accusati”, con Zahalka sedeva un altro deputato arabo della Knesset, Taleb a-Sana del partito Raam-Taal. Durante una recente manifestazione di protesta contro il blocco della striscia di Gaza, a-Sana ha rilanciato col suo cellulare parlamentare un messaggio di saluto agli arabi israeliani del leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh: un nemico giurato dello Stato ebraico. Israel Beitenu ha messo a punto una bozza di legge che intende emendare la formula di giuramento dei deputati della Knesset. Finora essi dovevano impegnarsi “ad essere fedeli allo Stato di Israele e alle sue leggi’’. Rotem propone una formula più incisiva: “Mi impegno ad essere fedele ad Israele come Stato ebraico, sionista e democratico, fedele ai suoi valori, fedele ai suoi simboli’’. La commissione ministeriale non ha tuttavia approvato l’emendamento. Siedono alla Knesset tre partiti arabi, con 11 deputati su 120. (A.B.) Aldo Baquis, da Tel Aviv http://www.mosaico-cem.it/

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