martedì 16 febbraio 2010


Sigmund Freud

Rassegna stampa

Gli antifascisti di Dresda fermano la marcia dei neonazi Per il 65esimo anniversario dei bombardamenti anglo-americani, che la notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945 devastarono la città, i gruppuscoli della galassia neonazista di tutta la Germania e di altri paesi europei si erano dati appuntamento per una «marcia funebre» per celebrare la ricorrenza. Gli organizzatori speravano di portare nel capoluogo della Sassonia oltre 10 mila attivisti così da dar vita alla più imponente manifestazione neonazista del Dopoguerra. Nei giorni precedenti il tam tam sui siti Internet aveva destato grande preoccupazione, da più parti si è chiesto di revocare l'autorizzazione alla manifestazione. Alla fine sono arrivati in circa 5000, un po' meno del previsto, comunque troppi, e hanno inferto l'ennesimo sfregio ad una delle città simbolo della II guerra mondiale. Si sono radunati nei pressi della stazione di Neustadt, da dove partivano i treni con il carico di ebrei destinati al campo di sterminio di Auschwitz. […][…] Se la marcia neonazista non ha avuto il successo che si temeva il merito va soprattutto alla mobilitazione delle forze democratiche che non si sono limitate ad esprimere rabbia e sdegno, ma si sono impegnate in una vera e propria contro-dimostrazione di massa. Migliaia di cittadini hanno accolto l'appello lanciato dal borgomastro elma Orosz (Cdu) di radunarsi davanti alla piazza del municipio e formare una catena umana, così da impedire l'accesso al corteo dell'estrema destra. L'azione denominata «Dresda libera dai nazisti» ha avuto successo risparmiando per lo meno al centro storico il passaggio delle teste rasate. «Faremo di tutto per impedire che vecchi e giovani nazisti strumentalizzino questa giornata di dolore. La nostra città è un baluardo contro l'intolleranza e la stupidità» ha detto la Orosz poco prima di dare il via alla catena umana anti-nazista [...]Gherardo Ugolini, l'Unità, 14 febbraio 2010


L'acquerello di Hitler all'asta «Era nello studio di Freud» Un quadretto, dieci centimetri per venti, quasi una cartolina. La firma: «A. itler 1910». E una scritta sul retro, a matita, in italiano: «Studio medico Sigmund Freud. Vienna». Basta per fare di quest'acquerello, una Chiesa dal tetto spiovente sullo sfondo delle Alpi austriache, che andrà all'asta il 2marzo nella città inglese di Ludlow, il legame mai emerso tra l'austriaco Adolf itler e il padre della psicanalisi viennese Sigmund Freud? E infatti, appena il Daily Telegraph ha dato la notizia dell'asta, la news è rimbalzata finendo, per dire, anche sull'india Daily o il Los Angeles Times. Troppo suggestivo ma possibile? pensare che nelle strade di Vienna d'inizio Novecento si siano sfiorati la follia del pi grande criminale politico-seriale della storia e il genio ebraico che i mostri li curava Il responsabile dell'asta Richard Westwood-Brookes, della Mullock's auctioneers, spiega com'è arrivato al quadro. A venderlo, a Ludlow, è un compratore italiano rimasto anonimo. Né è possibile sapere da quale città italiana provenga. L'acquerello, invece, sarebbe stato portato in Italia da un giovane soldato americano, subito dopo la guerra: sosteneva d'averlo preso dall'ambulatorio di Freud. [...][...] Certo, nulla finora aveva fatto credere che i due si fossero «conosciuti». E anche possibile, dicono i curatori, che l'acquarello fosse stato comprato da una segretaria odaunFreudignaro dichinefos se l'autore. Forse semprecché la scritta non sia l'opera di un falsazio o lo scherzo di un burlone che si è divertito a incrociare sul fronte e sul retro i due destini non sapremo mai se Freud quel quadro l'ha «clinicamente» studiato. Ma è anche bizzarro pensare che ci sia passato tante volte davanti, senza accorgersi di nulla. Mara Gergolet, Corriere della Sera, 14 Febbraio 2010

E nell'ombra si nasconde la terza Intifada [...] Le facilitazioni messe in atto dal governo israeliano ai check pnint, la promozione dell'economia che ha portato lo Stock Exchange palestinese al più 12 per cento e l'estendersi di grandi quartieri palestinesi a nord di Bir Zeit (attaccata a Gerusalemme) e a nord di Gerico, segnalano un invito costante di Netanyahu a tornare al tavolo delle trattative. Ma Abu Mazen non accetta, e spiega che il cosiddetto freezing delle costruzioni nei Territori di 10 mesi peraltro da Netanyahu, non è completo. Dunque per tenere aperta una situazione sempre più difficile gli americani hanno fatto un passo indietro: salvo imprevisti riprenderanno, come sedici anni fa, colloqui condotti tramite un intermediario. E' triste, ma Israele ci sta, e può darsi che parlare a Bibi e a Mitchell senza contatto protegga Abu Mazen dalle accuse di essere al servizio dell'imperialismo yankee e israeliano. Ma Abu Mazen difficilmente vorrà parlare di cose sostanziali, per due ragioni: la prima è che il suo popolo è talmente radicalizzato con continue glorificazioni ufficiali del terrorismo suicida che invadono la stampa, la piazza, la tv e anche i programmi per i bambini, che non lo seguirebbe in una politica di accordi. Abu Mazen si è preoccupato della concorrenza di Hamas che ormai ha preso Gaza e potrebbe prendersi anche l'West Bank molto di più che non del processo di pace: ne va della sua sopravvivenza politica e forse fisica. La seconda ragione, è che l'Autonomia Palestinese ha visto aprirsi in questi giorni il baratro senza fine di una grande discussione sulla corruzione grazie al giornalista palestinese Khaled Abu Toameh del Jerusalem Post e all'incredibile coraggio del suo intervistato Fahmi Shabaneh excapo della Commissione Anti Corruzione dell'Ap. Shabaneh, un avvocato, ormai inseguito da un ordine di cattura dell'Autorità Palestinese, rifugiatosi a Gerusalemme est, ha detto che nel momento in cui ha deciso di parlare per prima cosa si è comprato la tomba; egli sostiene che Abu Mazen si è circondato di tutti i corrotti che lavoravano per il suo predecessore Arafat, e che la vittoria di Hamas a Gaza sarà presto ripetuta a Ramallah dato il disgusto della popolazione. Shabaneh dice molte cose, fra cui che il personale di Fatah ha sottratto personalmente 3,2 milioni di dollari donati dagli Usa perle elezioni parlamentari del 2006 poi vinte da Hamas. L'avvocato ha anche indicato lo scandalo sessuale testimoniato da un video molto esplicito: Rafik al Husseini, il capo della segreteria di Abu Mazen, viene sorpreso dalla polizia palestinese mentre estorce prestazioni sessuali alla sua segretaria e poi si lascia andare a accuse di debolezza e corruzione contro il suo capo. C'è da aspettarsi che mentre la gente se la ride per le nudità di uno dei suoi boss e commenta le ruberie subite ormai dai tempi di Arafat, con i suoi famosi conti in banca a Parigi, si alzi la temperatura antisraeliana. Dove la democrazia non c'è, funziona così: si focalizza l'odio su chi non c'entra niente.Fiamma Nirestein, Il Giornale, 14 febbraio 2010

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