venerdì 5 marzo 2010




Arnoldo Foà

Rassegna stampa

Arnoldo, l'amabile burbero Sulla scena, fra le centinaia di personaggi cui ha dato voce e vita, non si è fatto problemi a vestire le sottane di quattro diversi pontefici: «E non è tutto ricorda divertito perché una volta mi è toccato dare voce persino al Creatore. Per un ateo mi sembra una bella soddisfazione». Ad ascoltarla, sulla soglia del suo novantacinquesimo compleanno, quella voce calda, profonda che ha fatto rabbrividire e commuovere intere generazioni di italiani, quella voce che ha lanciato dai microfoni della radio Alleata di Napoli il segnale della riscossa e della liberazione, quella voce che ha attraversato un secolo non è appannata. L'immancabile pipa non l'ha irruvidita, gli anni non l'hanno incrinata. Fra i nuovi progetti di lavoro e qualche momento di riposo, ci aspetta nel suo appartamento romano, ornato delle sue multiformi creazioni, disegni, dipinti, sculture, ricordi del lavoro di attore e degli innumerevoli viaggi che hanno accompagnato un' esistenza segnata dall'irrequietudine. Accanto ad Annamaria, che ama teneramente ricambiato, Arnoldo Foà non può fare a meno di cedere al vecchio vizio e di restare perennemente sotto i riflettori. Ora che che decine di colleghi, amici appassionati e tanta parte del suo pubblico se ne sono andati in punta di piedi, Arnoldo Foà porta il peso immenso dei grandi vecchi che hanno amato troppo la vita. Migliaia di ore sul palcoscenico, tanti amori, quattro matrimoni, l'affetto di milioni di italiani che hanno amato la sua voce e la sua arte, un'identità ebraica contraddittoria, difficile e combattuta, ma mai negata, sempre portata a testa alta, con fierezza, come spesso avviene agli ebrei italiani. Negli scorsi giorni ha regalato al lettore italiano un libro di memorie, Autobiografia di un artista burbero, Sellerio, pp. 212. […]Guido Vitale, Pagine ebraiche (ripreso dal Riformista, 3 marzo 2010)
Università europee contro Israele. Schiaffo alla libertà di pensiero Mentre anche la Siria, secondo a quanto anticipa oggi il quotidiano Haaretz, sta nuovamente valutando la possibilità di arrivare presto a un accordo di pace con il governo Netanyahu, le università europee hanno dichiarato invece la nuova, solita guerra. Una guerra annuale che dura sette giorni, la «Settimana contro l'apartheid di Israele» […][…]Perché, infatti, fare circolare film come Valzer con Bashir o Lebanon e confrontarsi con le idee dei loro autori? Meglio farli tacere, come il regime iraniano sta tentando di fare con il loro collega Jafar Pahani, arrestato ieri mattina a Teheran. Meglio ignorare la quantità impressionante di pensiero critico che gli intellettuali israeliani hanno prodotto in questi anni, riuscendo non di rado a bloccare o moderare le spinte più intransigenti della politica e dei settori meno concilianti dell'opinione pubblica. La tentazione sarebbe quella di lasciar correre, di ignorare queste forme aggressive di ostilità minoritaria […][…]Quello che sta accadendo nella «Settimana contro l'apartheid di Israele» a Roma, Pisa, Bologna, Amsterdam, Toronto, Londra, è però un insulto alla dialettica culturale, uno schiaffo immeritato a quella libertà di pensiero che uomini come Oz, Abraham Yehoshua, David Grossman hanno sempre difeso con forza e con coerenza. Come hanno nello stesso tempo difeso senza esitazioni la loro patria da tutti quelli che la volevano e la vogliono distruggere. Paolo Lepri, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010
Difendere il Mossad per difendere Israele La santimonia di quei censori d'Israele che si ergono a proteggerlo da se stesso raramente brilla d’onestà intellettuale. S'agghindano da amico preoccupato e lanciano strali pieni di livore mascherati da buoni consigli. Ma alla fine non riescono a celare il rancore. E il caso di David Gardner (Financial Times e ll Sole 24 Ore di sabato scorso). Affidandosi a letteratura faziosa e spesso fantasiosa quali gli scritti di Avi Shlaim - lo storico di Oxford malato della stessa propensione alle filippiche contro Israele con l'aggravante di una parallela riluttanza a criticare le tirannie arabe di cui ha passato la vita a fare apologia - Gardner usa la scusa dell'assassinio a Dubai del terrorista di Hamas Mahmoud alMabhou per ricordare al lettore tutti i fallimenti del Mossad e per offrire un messaggio politico neanche troppo velato - i servizi farebbero meglio a far di punto, altrimenti tali avventatezze producono imbarazzi o peggio, veri e propri disastri politici. [...][...] Primo, la storia nota di ogni servizio segreto (una professione che si fonda spesso sulla violazione delle leggi di altri paesi) abbonda di fallimenti: i successi sono più spesso tenuti segreti e solo più tardi e solo in parte resi noti. Pensiamo soltanto alla guerra in Iraq o alla rivoluzione in Iran, la prima avvenuta grazie a informazioni sbagliate, la seconda avvenuta perché non anticipata dai servizi. Posto che Gardner abbia ragione il Mossad è in buona compagnia. Secondo, anche ammettendo che sia stato Israele a ordinare l'assassinio di alMabhou - e alcuni dettagli della storia sollevano qualche dubbio - cosa ci si aspettava? Immaginiamoci la scena. Immigrazione di Dubai agli assassini israeliani: «Nazionalità?». «Israeliano!». «Professione?». «Agente del Mossad». «Scopo della visita?». «Assassinio di un terrorista di Hamas!» «Benvenuti a Dubai!». [...][...] E sesto, a un Israele cui si rinfaccia l'uso eccessivo della forza nel reagire agli attacchi dei suoi nemici - vedi Operazione Piombo Fuso su Gaza - si dovrebbe applaudire, non deprecare di aver preso a cuore tale critica e questa volta di aver eliminato una minaccia senza danno collaterale alcuno. […]Emanuele Ottolenghi, il Sole 24 ore, 3 marzo
Hollywood si prende troppe licenze. Così il nazismo diventa gioco Già l’anno scorso c'eravamo meritati Bastardi senza gioita di Quentin Tarantino, dove Hitler non moriva a Berlino maa Parigi, nell'incendio di un cinema. Dove ebrei americani, combattenti per la libertà, strappavano lo scalpo ai nazisti che catturavano; o incidevano una svastica sulla fronte di coloro che lasciavano in libertà. Il sergente Donnie Donowitz, alias «l'Orso ebreo», giocava a baseball con i crani delle proprie vittime. Lo stesso Hitler diventava una sorta di Grande Produttore che aveva esteso a Germania ed Europa le frontiere dei suoi studio. E Tarantino, quando gli si chiedevano spiegazioni sul significato ultimo del suo film, non temeva di rispondere che, per gli angeli sterminatori antinazisti le cui «nonnette» europee erano rimaste «impotenti» quando per la prima volta si andò a «bussare alle loro porte», il tempo era scaduto e «l'ora della vendetta» era suonata. [...][...] Oggi è un altro gigante del cinema americano, Martin Scorsese, a impadronirsi del materiale altamente infiammabile che è la storia del nazismo, e nel farlo, temo, si assume una responsabilità dello stesso genere. Anche in questo caso, il talento non è in causa. Né è in causa la trama del film, dal titolo «Shutter Island» (nei cinema italiani da venerdì, ndr), che mescola con un virtuosismo sbalorditivo i riferimenti a Hitchcock, a Samuel Fuller, a Vincent Minnelli o al film troppo spesso sottovalutato di Val Lewton e Mark Robson, «Il vampiro dell'isola». Ma cosa pensare, di nuovo, dell’identificazione implicita di Guantanamo con i campi della morte? Cosa pensare dell'isola del Diavolo, situata nel cuore degli Stati Uniti, dove l'amministrazione avrebbe riciclato dopo la guerra ex criminali nazisti? E Dachau? Che dire delle immagini del campo di Dachau allegramente confuso con Auschwitz, visto che sul frontone dell'entrata appare la celebre scritta: Arbeit Macht Frei? Che pensare degli ossari dove morti colorizzati ci guardano con occhi da bambole di cera o di plastica e tornano, lungo tutto il film, come un terribile Leitmotiv, a ossessionare il cervello dell’eroe? E come non sussultare, infine, quando appare l'inquadratura della camera a gas vuota di cui Leonardo Di Caprio, errando nei sotterranei dell'ospedale psichiatrico dove svolge la sua inchiesta, apre inavvertitamente la porta e intravede i rubinetti delle docce non più usati? [...]Bernard Henri Lévy, il Corriere della Sera, 3 marzo 2010 (cliccando sui titoli si aporono articoli) http://www.moked.it/

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