sabato 6 marzo 2010


kibbutz Ruhama


Rassegna stampa

Nejad Hamid Masoumi per molti è un signor nessuno. Un normale giornalista, corrispondente della tv di Stato iraniana, da dieci anni in Italia. Baffi e capelli neri, dai modi sempre cortesi, tutti i giorni varcava il portone dell’Associazione stampa estera a via dell’Umiltà. A un passo da Fontana di Trevi. Finché un giorno, ieri, viene arrestato. Il quasi invisibile cronista è una spia di Teheran coinvolta in un traffico d’armi tra Italia e Iran. L’operazione ha messo le manette a due 007 iraniani e cinque italiani (Sole 24 Ore). A proposito di spie: il Foglio spiega perché il gran capo della polizia di Dubai è così efficiente contro Israele. Ricordate la polemica contro il Mossad, accusato di aver ucciso un leader di Hamas facendosi scudo con passaporti inglesi, irlandesi, francesi e tedeschi? Bene, ecco il profilo del generale Dahi Khalfan Tamim: l’uomo che vuole incastrare 26 agenti israeliani e chiede un mandato di cattura per il premier Bibi Netanyahu. Sul settimanale Sette del Corriere, invece, Stefano Jesurum fa ripartire l’offensiva contro Vittorio Feltri, il direttore del Giornale che lanciò palle di fuoco contro Gad Lerner, accusandolo di essere vendicativo con la finanza vaticana ma di non criticare quella ebraica. "Filoisraeliani antisemiti", è il titolo dell’articolo. Sempre sul Sole 24 Ore Ugo Tramballi intervista il premier palestinese Salam Fayyd, il quale racconta la strategia di investimenti, che vuole raccogliere all’estero, per proclamare lo stato di indipendenza entro il 2011.Fabio Perugia (cliccare sui titoli per l'articolo intero) http://www.moked.it/

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........ . Aggiornamenti dal versante Israele ci sono invece dati da Virginia Di Marco su il Riformista, che ci informa sulle ultime mosse dei protagonisti da Ramallah e Gerusalemme, così come Rita Fatiguso, su il Sole 24 Ore, ci rammenta che esiste anche un’altra Palestina, non quella militante (e disperata) che ci è servita quotidianamente come piatto forte del conflitto aperto con gli israeliani ma un paese che si adopera per maturare economicamente, avendo ben più di una carta a suo favore. Il Foglio, nell’articolo «finalmente c’è un po’ di Sapienza», fa una rassegna dell’andamento dell’iniziativa promossa da una rete internazionale di atenei, tra i quali tre università italiane (quelle di Roma, Bologna e Pisa), per il sostegno alle accademie palestinesi e il correlativo boicottaggio di quelle israeliane. La buona notizia è che La Sapienza ha stipulato un gemellaggio con la Tel Aviv University, rivelando così come l’adesione alla campagna contro Israele sia assai meno compatta e tangibile di quanto gli organizzatori non intenderebbero far pensare. In realtà in ogni università coesistono, negli stessi luoghi e nel medesimo tempo, minoranze tanto determinate quanto rumorose, che pretendono con le loro iniziative di parlare a nome di tutti, con maggioranze silenziose, sospese tra disinteresse ma anche dissenso. Il ricorso al nome di prestigiosi atenei per giustificare prese di posizione politiche, tanto nette quanto conflittuali, non deve farci pensare ad una immediata e corale adesione da parte di chi dentro quei posti ci lavora, studia e, in parte, vive. La realtà universitaria italiana, come quella di qualsiasi altro paese, è troppo ampia e articolata per potere essere ricondotta ad una sola volontà. Sarebbe come dire che la vittoria parziale, in una qualche tornata occasionale, di un partito (pensiamo ancora all’Olanda di questi giorni), sia l’espressione di un consenso compatto, ossia di una omogeneità di opinioni che di certo, invece, non esiste. Rimane il pluralismo come caposaldo delle democrazie occidentali e l’esibizione di una qualche determinazione verbale non deve essere scambiata per l’acquisizione di una supremazia intellettuale e morale che – invece - non sussiste. Quel che tuttavia è non meno vero è che un tema come il conflitto israelo-palestinese, per le sue ricadute emotive e identificative, raccoglie un grande seguito negli ambienti intellettualizzati, da dove sono frequentemente partite iniziative che hanno polarizzato il giudizio del pubblico. La responsabilità della comunicazione e dei comunicatori è una questione troppo delicata per essere risolta con qualche exploit che chiama alla facile mobilitazione animi già esacerbati da una forte lettura ideologica degli eventi. Infine, per gli amanti del genere spionistico, che in queste settimane ha conosciuto una nuova impennata grazie alle vicende di Dubai, dove un gruppo di agenti del Mossad avrebbe operato, sotto false coperture, per l’eliminazione di uno dei faccendieri e dirigenti di Hamas, segnaliamo l’articolo di Paola Caridi su l’Espresso dedicato allo Yaman, acronimo di Yehidat Mishtara Meyuhedet, un reparto operativo della polizia di frontiera israeliana composto di poche centinaia di appartenenti capaci di adoperarsi nelle situazioni più critiche. Alle parole si corredano le foto, suggestive e acrobatiche, di quello che, a detta dell’autrice, è qualcosa di così segreto da essere conosciuto anche attraverso un articolo di giornale. Claudio Vercelli, http://www.moked.it/

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