sabato 20 marzo 2010


Tel Aviv. May 1948

A proposito di antisemitismo - 3

“Se perfino gli Stati Uniti rimproverano Israele, è indiscutibile che, almeno stavolta, gli israeliani abbiano torto”. Quante persone, di fronte alle recenti polemiche riguardo ai contestati progetti edilizi a Gerusalemme Est, in questi giorni, avranno fatto un’osservazione di questo tipo? Certamente molti. La rappresentazione della controversia offerta dai mezzi di comunicazione non lascia spazio a molti altri giudizi: e, anche quando la responsabilità non venga fatta ricadere unicamente su Israele, non c’è dubbio che le ragioni della controparte emergano come fortemente meritevoli di considerazione. Stavolta non si tratta di fronteggiare proclami di distruzione dello stato ebraico, ma semplici richieste di spazio, di territorio, apparentemente funzionali alla legittima realizzazione del futuro stato palestinese.Il problema è che la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana ha della questione una percezione molto diversa da quella degli osservatori europei, o americani. Gli israeliani sanno bene, infatti, che le rivendicazioni palestinesi si intrecciano, o si fondono, con posizioni - diffusissime in tutto il mondo arabo - di contrapposizione radicale nei confronti dello stato ebraico, delegittimato e criminalizzato nella sua stessa identità, non certo per semplici questioni di confini, o per qualche specifico contenzioso politico o amministrativo. Non dimenticano che, ogni qual volta si sia registrato qualche timido passo di dialogo, si sono sempre immediatamente levate, nel fronte avverso, alte denunce di ‘tradimento’, molte piazze si sono riempite di folle sdegnate, gli attentati terroristici si sono moltiplicati. Ricordano bene qual è stato il prezzo di sangue dell’accordo con l’O.L.P., nel 1993, con le strade di Tel Aviv e di Gerusalemme devastate da un’impressionante serie di attentati suicidi, o la risposta all’evacuazione da Gaza, nel 2005, con la quotidiana pioggia di missili sulle strade, le case e le scuole di Sderot. Sanno quanto sia ancora radicata la negazione del diritto di Israele a esistere, e quanto essa prescinda completamente dalle specifiche misure prese, di volta in volta, dal governo di Gerusalemme. Hanno constatato mille volte come, per molti dei propri interlocutori, qualsiasi linea di confini, anche la più ridotta, apparirebbe sempre eccessiva.In Europa e in America le richieste degli arabi vengono lette come giuste premesse sulla strada per la pacifica convivenza, ma gli israeliani sanno, per triste esperienza, che non è così. Ciò non significa, naturalmente, che Israele abbia sempre ragione, o non possa sbagliare, ma solo che è del tutto ingenuo pensare che possano essere i suoi comportamenti, più o meno ‘virtuosi’, a determinare l’atteggiamento, nei suoi confronti, della generalità del mondo arabo, e ad avvicinare o allontanare la pace. E’ giusto che Israele rispetti i diritti dei palestinesi. Ma, lo farà esclusivamente per fedeltà ai propri valori di fondo, alla propria vocazione di giustizia, senza farsi nessuna illusione riguardo a riconoscimenti esterni o possibili premi in termini di pace e sicurezza. Francesco Lucrezi, storico, http://www.moked.it/

Nessun commento: