giovedì 8 aprile 2010


Ebraismo e diritto. Il contributo fondamentale di Rabello

È stata appena pubblicata, nella Sezione Studi Giuridici della Collana dell’Università di Salerno (Edizioni Rubbettino), un’opera di grande rilievo scientifico e culturale, il cui interesse andrà certamente molto al di là della pur vasta schiera dei cultori dei diritti antichi. Ci riferiamo alla raccolta, in due volumi, di Alfredo Mordechai Rabello "Ebraismo e diritto". Studi sul diritto ebraico e gli ebrei nell’impero romano.La silloge è suddivisa in cinque sezioni, rispettivamente dedicate ai seguenti campi di investigazione: a) la condizione giuridica degli ebrei nell'impero romano pagano; b) la condizione giuridica degli ebrei nell'impero romano cristiano; c) la Collatio legum Mosaicarum et Romanarum; d) gli ebrei nella Spagna romana e visigotica; e) il diritto ebraico. Le pagine di tale ultima sezione, in particolare, possono essere lette come una sorta di “viaggio di Ulisse”, lungo le rotte percorse da Israele sulla via del ritorno alla casa del Padre; come un tributo alla dimensione atemporale della Torah - le cui lettere sopravvivono sempre, anche quando la carta, e la carne, bruciano, come nel rogo di Rav Chaninah (T.B., Avodà Zarà 18a) -, a una parola che perfora il tempo, cambiando sempre di senso nella fissità della lettera, dividendo come uno scoglio le acque della storia. Esse aiutano a capire in che modo i precetti mosaici, eterni e immutabili, abbiano conosciuto la straordinaria capacità di adattamento che ha permesso al popolo ebraico di assumere mille volti, parlare mille lingue e fecondare mille civiltà, restando sempre sé stesso; in che modo, come recita Bialik, la rigida halachah, “pedante, grave, dura come il ferro”, sia stata mitigata dalla compassionevole haggadah, “indulgente, lieve, tenera come il burro”. Per la sua salvezza, l’uomo ha bisogno di entrambe, di legge e misericordia, di severità e di poesia, come Dante ebbe bisogno di Virgilio e di Beatrice.In generale, Rabello aiuta a capire in che modo il diritto ebraico abbia conservato e maturato la propria peculiare forza etica, elaborando per l’uomo sempre nuovi parametri comportamentali atti a fungere da barriera contro il male, “facendo siepe” intorno alla Legge, come è scritto nella Mishnah (Avòt 1.1) e come ebbe a ricordare, nel suo campo di morte, Primo Levi. Una forza, una duttilità e una perenne modernità che rendono la sapienza rabbinica, com’è noto, particolarmente preziosa come strumento di orientamento nei nuovi, inesplorati terreni della bioetica, come eloquentemente attestano i saggi sull’ubàr, il nascituro, sull’eutanasia, la procreazione assistita, la fecondazione artificiale.Se il livello di conoscenza del diritto ebraico, nel suo insieme, ha fatto notevoli progressi negli ambienti accademici europei, ciò è avvenuto, in buona misura, grazie all’opera di Rabello, a cui va riconosciuto il merito di avere dimostrato l’attualità e la funzionalità di tale millenaria tradizione giuridica, la sua peculiare posizione a cavallo tra diritti antichi e moderni, tra norma giuridica, precetto religioso e imperativo etico universale.E se, sessantaquattro anni dopo la Shoah (che, come scrive Gorge Steiner, aveva sospinto l’ebraismo europeo “verso i margini cinerei del silenzio”) e sessantuno dopo l’Indipendenza di Israele, la risorta patria degli ebrei è tornata a dispensare al mondo gli inesauribili tesori di una millenaria tradizione giuridica, assolvendo di nuovo alla propria missione profetica di “luce per le nazioni”, ciò si deve anche all’impegno e al coraggio di Alfredo Rabello, che gli ha conquistato l’unanime stima e gratitudine dell’intera comunità scientifica internazionale. Anche se, fra tante luci, non sarebbe corretto nascondere alcune ombre, come, per esempio, l’embargo decretato contro di lui e i suoi colleghi connazionali da quei sedicenti Professori britannici che - in perfetta sintonia con gli scienziati italiani del ‘38 - non lo gradirebbero su una Cattedra del Regno, in ragione della “responsabilità oggettiva” della sua cittadinanza. Ma seguiamo l’insegnamento di Alfedo, nella Nota di presentazione della raccolta, e ricordiamo il bene, non il male, fiduciosi che, una volta realizzati gli auspici del salmista, anche il ricordo di Amalek possa allontanarsi.Francesco Lucrezi, storico

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