lunedì 12 aprile 2010


Moshe Dayan

La grande politica nel salotto di casa

Com’è difficile essere figli e nipoti di ...
Com’è difficile essere figli e nipoti di Rabin, Dayan, Begin, Ben Gurion... E’ la cosiddetta “sindrome Kennedy”. Ovvero: come si cresce da figli di genitori eccellenti? Come ci si abitua a vivere, nella vita quotidiana, le grandi decisioni politiche, gli incontri al vertice di papà? Ribelli e conflittuali, emuli, eretici o impegnati, mai indifferenti. Ecco che cosa diventano oggi i rampolli dei leader israeliani. Begin, terza generazione. Dopo Menachem, l’ex comandante dell’Irgun che fondò il Likud e poi espugnò la carica di premier dopo sette fallimenti elettorali; e dopo Benny, il figlio, che mantiene una posizione di rilievo nel Likud e funge da ministro nel governo di Benyamin Netanyahu, ora alla ribalta israeliana si affaccia anche uno dei nipoti dello statista e premio Nobel per la Pace. È Avinadav, 34 anni compiuti durante i quali ha definito una filosofia di vita molto distante da quella del padre e del nonno. Ancora una volta una delle grandi dinastie politiche polarizza dunque l’attenzione degli israeliani. Per decenni la ghente si era appassionata alle vicende dei Dayan, dei Rabin, e anche dei figli di statisti come David Ben Gurion e Golda Meir e di esponenti politici come Ehud Olmert o Moshè Arens. Adesso la parola passa di autorità al rampollo dei Begin. Il suo esordio nella scena pubblica è stato accompagnato con la grancassa dal quotidiano Yediot Ahronot, che gli ha dedicato la copertina di uno dei suoi supplementi settimanali ed una intervista oceanica, spalmata su sei pagine. Non tutti gli intellettuali 34enni beneficiano sempre in Israele di una attenzione così benevola e sollecita. E forse nemmeno riescono a trovare un editore per il loro libro di esordio, specie se in esso sono raccolte convinzioni talmente profonde dal confinare con la nebulosità. “Non lo avremmo mai chiamato in studio se non si chiamasse Begin”, ha candidamente ammesso un noto giornalista della televisione commerciale Canale 10, Yaron London, che quotidianamente conduce con il collega Moty Kirschenbaum quello che viene considerato il principale talk-show di Israele. Un edipo complesso Per i mass-media questo esordio è stato una doppia festa: perché fisicamente Avinadav Begin ricorda molto il nonno, con lo stesso volto affilato e i medesimi occhialetti rotondi da intellettuale degli anni Trenta del secolo scorso. Anche la sua voce - vellutata, compita e sommessa - ricorda da vicino quella del nonno. Ma politicamente le sue tesi politiche sono esattamente agli antipodi: Avinadav, vedi caso, si identifica con i palestinesi di Bilin in lotta contro la “Barriera di sicurezza” in Cisgiordania e non gli dispiacerebbe affatto di andare a vivere fra di loro. Potenza e complessità dei percorsi edipici; di nonno Menachem, che trascorse gli ultimi anni di vita segregato nel proprio appartamento ed isolato dal mondo, Avinadav ha ricordi personali evanescenti. Sul piano politico, non nutre alcuna ammirazione nei suoi confronti. I trattati di pace firmati con l’Egitto, dice, “sono una illusione”. Né gli perdona la guerra in Libano (1982) “in cui morirono invano molte migliaia di libanesi e palestinesi”. A Yediot Ahronot Avinadav precisa di non sentirsi “né ebreo, né sionista”. “Ebraismo è violenza - afferma - così come sionismo è violenza, arabismo è violenza, Islam è violenza, una bandiera è violenza, un inno è violenza”. Nel presentare il suo libro, La fine del conflitto, scritto in ebraico e in arabo, Avinadav Begin spiega di non credere per niente nella formula degli Stati nazionali e nota che nella natura, ohibò, non ci sono confini. Niente diritto alla privacy Certo in Israele non è facile crescere con il fardello di un cognome impegnativo come Begin, Rabin, o Dayan. Il Paese è piccolo, i rapporti umani sono molto informali, a volte appiccicosi. I giornali sanno inoltre essere, nel caso, invadenti e pettegoli. Il diritto alla privacy, per queste dinastie politiche, non esiste. L’opzione naturale, per i figli dei grandi leader, è dunque la fuga all’estero. Una scelta compiuta molti anni fa dal figlio della premier Golda Meir, Menachem, diventato nel frattempo un violoncellista di fama internazionale. Per decenni avrebbe costruito la propria carriera negli Stati Uniti e in Europa, concedendosi solo brevi interludi in Israele. Dopo la guerra del Kippur (1973) la figura della madre era stata infatti oggetto di aspre critiche da parte di molto israeliani e solo di recente è stata parzialmente rielaborata e recuperata.Sentendosi di continuo addosso gli occhi della Nazione, anche uno dei figli del premier Yitzhak Rabin, Yuval, ha trascorso molti anni negli Stati Uniti: un necessario tentativo di “disintossicazione” dalla politica locale dopo aver guidato, con scarso successo, un movimento giovanile dal nome Una intera generazione vuole la pace. A volte però l’estraneazione non è solo fisica, ma diventa ideologica. È questo il caso di Yigal Arens, figlio dell’ex ministro della difesa e “falco” del Likud Moshe Arens, che insegna in una università degli Stati Uniti. Da posizioni della sinistra radicale è passato ormai ad un atteggiamento antisionista militante: un personaggio talmente ingombrante che due anni fa una università israeliana ha rinunciato ad invitarlo ad un congresso per sventare possibili polemiche. Anche il “clan” dei Dayan è spesso presente nelle cronache locali. Uno dei figli del generale Moshe Dayan, Ehud, scultore affermato che lavora spesso all’estero, ha pubblicato anni fa un libro in cui criticava aspramente la figura del padre. I rapporti conflittuali padre-figlio sono ancora più evidenti nell’attore-regista Assi Dayan, che in una occasione ha interpretato la parte del padre-generale. Salvo poi coprirlo di contumelie in interviste giornalistiche. Suo nonno, Shmuel Dayan fu uno dei pionieri socialisti di Deganya: un mito sionista. Il padre, Moshe, incarnava l’essenza dell’establishment israeliano nei suoi punti di contatto fra esercito, politica, insediamento agricolo e accademia (storia ed archeologia). Oppresso da tanto retaggio, il cineasta Assi Dayan si è proposto nel corso dei decenni come portabandiera della protesta di sinistra, di un atteggiamento di bohemien anticonformista, nonché di protagonista del mondo dello spettacolo. Quando poi un anno fa si sarebbe trovato brevemente in carcere per aver percosso la propria compagna mentre era stordito da medicinali, qualcuno avrebbe poi individuato nella sua crisi personale un significato ancora più vasto, relativo al sionismo socialista.Anche in casa Olmert (ex “falco” del Likud passato poi gradualmentre verso il centro politico e a Kadima), soffia aria di ribellione. Una figlia dell’ex premier, la studiosa di letteratura ebraica Dana, ha partecipato a manifestazioni e picchetti della sinistra radicale, contro l’occupazione israeliana in Cisgiordania, mentre il padre era a capo del governo. Eppure al quotidionao Yediot Ahronot il giovane Begin ha aggiunto che comunque i suoi genitori sono sempre stati molto liberali con i sei figli, e non hanno mai cercato di indottrinarli. Altrettanto ha riferito Dana Olmert dei propri genitori. Nei loro casi, il particolare calore nei rapporti familiari ha saputo aver ragione dei fossati ideologici. E conservare così, intatto, l’affetto filiale.di Aldo Baquis, da Tel Aviv ,http://www.mosaico-cem.it/

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