domenica 30 maggio 2010


Steven Katz

Lectio magistralis di Steven Katz La resistenza ebraica durante l’occupazione nazista

E’ esistita una resistenza ebraica nei ghetti durante l’occupazione nazista? Gli ebrei dell’epoca accettarono il proprio destino passivamente o tentarono qualche forma di ribellione? E perché non interpretarono correttamente i segnali di pericolo che già prima del 1941-42 provenivano da ogni parte d’Europa? Interrogativi drammatici ai quali ha cercato di dare una risposta il professor Steven Katz direttore del Wiesel Center della Boston University e autore di numerose pubblicazioni sull’argomento, ospite dell’Ateneo Roma Tre per tre mesi nell’ambito delle attività del Dipartimento di Scienze dell’Educazione e del Master internazionale di II livello in Didattica della Shoah tenendo alcuni incontri sul pensiero religioso ebraico di fronte alla tragedia della Shoah.A moderare la lectio magistralis che si è svolta ieri nella sala del Consiglio della Terza Università il professor David Meghnagi direttore del Master “Il tema della resistenza ebraica è particolarmente complesso. Gli ebrei nei ghetti dovettero fronteggiare una situazione di isolamento unica e incomparabile. - ha detto Meghnagi introducendo l’intervento del professor Katz - Erano isolati dal mondo, dimenticati dagli alleati che avevano altre priorità e non volevano che la guerra fosse vista come una “guerra ebraica” guardati con ostilità dalla maggioranza della popolazione in Polonia, Lituania, Romania e Ucraina, privi di copertura e di luoghi dove potersi nascondere, esposti a rappresaglie feroci e indiscriminate control’intera popolazione in caso di fuga di qualcuno, senza cibo, in condizione di sovraffollamento. In queste condizioni l’unica forma di resistenza possibile era una resistenza spirituale e fisica”.“L’errore da evitare quando si descrive la tragedia della Shoah – ha concluso Meghnagi lasciando la parola al professor Katz - è di proiettare la conoscenza che ne abbiano oggi con la consapevolezza che ne potevano avere coloro che l’hanno subita, gli esiti con le premesse, le fasi finali con quelle iniziali, dimenticando che si trattò di un processo avvenuto per fasi.Ed è da qui che parte l’analisi del professor Katz. Gli ebrei dell’epoca non ebbero assolutamente la percezione di trovarsi in un pericolo maggiore di quello che avevano dovuto affrontare nel corso dei secoli, avevano vissuto 2000 anni di persecuzioni e considerarono il momento che stavano vivendo come una ripetizione del passato, l’unica cosa da fare quindi era quella di aspettare, guadagnare tempo perché prima o poi sarebbe passata e questo è il primo, ma comprensibile grande errore di valutazione che essi commisero. Il secondo errore consiste nell’essersi considerati schiavi del Regime nazista e questo non era rispondente alla realtà dei fatti perché lo schiavo serve per il lavoro mentre nella mente di Hitler c’era lo sterminio totale, accettarono quindi fra le altre cose di essere rastrellati dalle proprie case e rinchiusi, come nel caso del Ghetto di Varsavia, in cinquecentomila in un area che avrebbe potuto contenere cinquantamila persone, in condizioni igieniche disastrose, dividendo la propria dimora con persone sconosciute. Nel ghetto di Varsavia gli ebrei privati di tutto, morivano per fame, freddo, malattia, mancanza di assistenza medica. Fuggire, emigrare, significava morte sicura di tutta la famiglia che era rimasta.Eppure una resistenza ebraica ci fu, oltre alla tragica ed eroica vicenda degli ebrei del ghetto di Varsavia che resistettero dal 19 aprile al 16 maggio 1943, ci furono tentativi di resistenza anche nei campi di sterminio di Treblinka di Sobibor e anche di Auschwitz dove alcune donne prigioniere sottrassero esplosivo da una fabbrica di armi e fecero esplodere parte del forno crematorio IV. I prigionieri tentarono la fuga ma poco dopo furono uccisi tutti e 250. Ma la resistenza ebraica ebraica vera e propria non fu combattuta con le armi e non era una resistenza organizzata, l’unica resistenza possibile era la resistenza spirituale e la resistenza fisica. Laddove i nazisti tentavano di annientarli, togliendo loro ogni dignità, gli ebrei riaffermarono la propria identità: nel Ghetto di Varsavia si continuava a mangiare kasher, a fare scuola ai bambini, a pregare, a suonare, la stampa ebraica forniva la propria versione della guerra e attraverso l’attività di Oneg Shabbat, un’associazione che in quegli anni creò e custodì l’archivio del Ghetto fu documentato tutto quello che avvenne. Purtroppo di questi preziosi documenti solo due blocchi sono stati trovati, tutto il resto è andato perduto.Lucilla Efrati

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