venerdì 18 giugno 2010


Tel Aviv: lavori per Allenby Street, 1915

Israele-Palestina ultima chiamata per gli Stati Uniti

Lo scenario israelo-palestinese nelle ultime settimane è decisamente cambiato. Forse qualcuno sosterrà che la questione delle navi non modifica sostanzialmente il quadro: da una parte la persistenza di un blocco che appare a molti come un sopruso, dall'altro un confronto politico non solo tra israeliani e palestinesi, ma anche fra palestinesi che ormai è in stallo da almeno cinque anni, ovvero dal momento in cui la striscia di Gaza, nell'estate 2005, fu abbandonata dai coloni israeliani per divenire l'enclave di Hamas, prima nei fatti e poi sancito dai risultati delle elezioni del gennaio 2006. Apparentemente l'unica novità su cui molti hanno concentrato l'attenzione è l'atteggimento della Turchia. E tutto vero nei dati, ma non è più sostanzialmente vero nei fatti, a cominciare dal blocco intorno a Gaza: ancora operante ma sempre meno sostenibile. In ogni caso una politica che puntasse esclusivamente al suo mantenimento senza proporre una soluzione complessiva è destinata alla sconfitta. Comunque dopo i 9 morti della Mavi Marmara al di là di chi ci fosse su quella nave - quel blocco non è sostenibile. In Medio Oriente, la geopolitica è in movimento. Non è detto che ne esca un quadro più governabile. Quando una situazione, in stallo per anni si rimette in moto sono in vista nuovi equilibri: o un compromesso che dia, almeno sui punti nodali, reciproca soddisfazione ai contendenti e dunque sia anche il risultato di una mediazione (il che implica qualcuno che sia in grado di funzionare da mediatore) o la sconfitta secca di uno dei due contendenti, forse di entrambi? [...]David Bidussa, il Secolo XIX, 17 giugno 2010

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