sabato 18 settembre 2010



Yom Kippur (1878)

Kippur

Per l’ebreo che ha esperito la cesura tra i due anni, l’infranto dei «giorni terribili», alla ricerca di una purificazione attraverso la teshuvà, si prepara il digiuno, che non è l’astinenza dal cibo fine a se stessa, ma è un modo per ricomporre la frammentazione, per riunificarsi con se stessi e con gli altri grazie alla riconciliazione con D-o.Ha scritto il filosofo Yuhuda HaLevi, nel suo bellissimo libro Kuzarì, che il digiuno che si osserva nel giorno di Kippur è «il digiuno con cui si è simili agli angeli, perché perfeziona con la contrizione e l’umiliazione, stando in piedi e inginocchiandosi, con le lodi e con gli elogi; tutte le facoltà corporee "digiunano" astraendosi dalle occupazioni naturali, come se nell’essere umano non ci fosse natura animale» (Kuzari 3, 5).Nella liturgia l’enumerazione dei peccati (contenuta nelle preghiere di Ashamnu e di ’Al chet) è un modo per strappare la confessione, per far affiorare i segreti che si annidano nei recessi più reconditi e che, articolati insieme, vengono condivisi in ripetizioni rinnovate. In questa condivisione, in cui ciascuno è davanti a D-o nella sua umanità spoglia, Israele è consapevole di pregare «con i peccatori» (Kol nidrè). E a Kippur emerge con chiarezza che Israele si fa carico dell’umanità.Donatella Di Cesare, filosofa, http://www.moked.it/

Nessun commento: