giovedì 7 ottobre 2010



David Zard


Il produttore Zard: "La verità per Israele è condizione per la libertà di tutti"

Domani, al Tempio di Adriano, a chiedere che a Israele "assediata da nemici che lo circondano d’odio, terrorismo e missili" sia accordata la verità, ci sarà anche David Zard. E’ lui il produttore musicale che ha portato in Italia Bob Dylan, i Rolling Stones, gli Who, Elton John, i Genesis, David Bowie, Lou Reed, Stevie Wonder, Madonna. Sempre lui, più di recente, ha legato il proprio nome a una serie di spettacoli di grande successo, come "Notre Dame de Paris". Ma prima che tutto questo accadesse, Zard è stato un ebreo libico ventiquattrenne fuggito in Italia due giorni prima che contro la millenaria comunità del suo paese si scatenasse un pogrom sanguinoso ("uccideteli tutti", era stato l’invito lanciato ai libici dalla radio egiziana, in concomitanza con la Guerra dei sei giorni).Era il giugno del 1967, racconta Zard al Foglio, "e un amico avvertì mio zio che il mio nome era in cima alla lista di quelli da fare fuori. Avevo mandato pubblicamente a quel paese chi mi diceva che Nasser stava per buttare a mare tutti gli israeliani". Abituato alla franchezza, anche quando i prezzi da pagare rischiano di essere alti, Zard pensa che "appoggiare Israele è necessario per tutti. L’Occidente sta rischiando grosso, perché non si rende conto che è in atto una invasione da parte, non tanto dell’Islam, quanto di chi ha deciso di usarlo a fini di conquista. Quando leggo che al Qaeda paga le donne per mettersi il burqa in certi luoghi dei Balcani, o che semina fondi per costruire moschee ovunque, mi chiedo come si possa non allarmarsi".Chiedere la verità su Israele significa allora "non accettare che si possa proclamare senza replica che il Tempio di Salomone non è mai esistito. Anche certe organizzazioni pro-palestinesi non islamiche diffondono un sacco di idiozie. Ho deciso di scrivere al sito di una di queste associazioni. Dico che Israele non può essere considerato invasore nella propria terra. Dico anche che basterebbe una minuscola quota dei beni che gli emiri investono nel mondo per evitare ai loro popoli di emigrare in Europa, senza contare i fondi immensi che sono stati riversati sulla Palestina e che non servono al bene del popolo palestinese ma alla ricchezza dei suoi capi".A questo proposito, Zard rievoca in modo piuttosto colorito "un incontro casuale, che mi capitò a Parigi, dalle parti del Faubourg Saint-Honoré, con quella che di lì a poco sarebbe diventata la vedova di Arafat. Mancava qualche giorno a Natale, e lei usciva dal negozio di Hermès con diciassette carrelli stracolmi".Oggi Zard dice che "Israele è una scusa. E’ la solita, eterna scusa che gli arabi avanzano per giustificare la sempre più chiara azione di conquista politica ed economica del mondo. Chi critica Israele non sa che un arabo che vuole comprare un terreno a Tel Aviv può farlo, mentre un israeliano che volesse comprare un terreno in territorio palestinese non potrebbe. Lasciamo stare gli ebrei, ma nessun europeo può acquistare un terreno, né in Arabia Saudita né nella maggioranza degli altri paesi arabi. Al massimo, la terra si affitta o si prende in comodato, ma non si vende a chi non sia arabo. Da noi arriva lo sceicco e si compra il Dorchester, oppure l’Hotel Principe di Piemonte".Da grande impresario, Zard ha a che fare con stelle di prima grandezza, sempre disponibili a mettere nome e faccia su cause più o meno degne: "Ma il terrorismo, da una parte, e il capitale (ovvero gli ingaggi fantasmagorici che ora certi paesi arabi possono offrire agli artisti) invitano molti, per non dire tutti, alla prudenza, alla freddezza. Chi glielo fa fare, a spendere una parola per Israele? Meglio non schierarsi, meglio tirare a campare. Qualcuno ha mai fatto il calcolo di quanto costa – in termini di ore di lavoro perso, di risorse, di vita – mettere in atto le misure antiterrorismo alle quali siamo costretti, negli aeroporti e altrove? Eppure il mondo sopporta, non si lamenta e non accusa".Un’infanzia e un’adolescenza vissute in un paese arabo, dice Zard, lo hanno vaccinato contro qualsiasi tipo di generalizzazione dal sapore razzista: "Gli arabi sono bravissima gente. E’ il fanatismo, è l’indottrinamento a devastare la situazione. Sono i loro gerarchi, i loro emiri, i loro dittatori che usano fanatismo e indottrinamento, in primo luogo contro i loro stessi popoli. Hanno bisogno di farlo per giustificare la loro immensa ricchezza e la grande povertà dei loro sudditi"."Sono tutte monarchie non democratiche – prosegue Zard – infatti anche quelle che in teoria dovrebbero essere repubbliche. Come si spiegherebbe altrimenti la linea strettamente ereditaria che porterà al potere il figlio di Mubarak, in Egitto, e a suo tempo portò anche quello di Gheddafi, in Libia?". Zard non minimizza la "scorrettezza politica" delle sue affermazioni, ma pensa che certe cose vadano dette: "Ho vissuto in un paese arabo e so come funziona da quelle parti. Anche prima di Gheddafi, la Libia era uno stato antisemita, e noi ebrei, che pure stavamo lì da tempo immemorabile, non avevamo alcune libertà elementari. Siamo stati espropriati di tutti i nostri beni, in Libia e in tutti gli stati arabi. Noi ebrei ci trovavamo in Libia da oltre duemila anni. Ci sono prove evidenti, come certe vecchie sinagoghe romane nel deserto. E c’è addirittura la tradizione che indica nella popolazione berbera una comunità di ebrei convertiti a forza".Se Zard non fatica a dire quel che pensa senza troppi complimenti, è probabilmente per via di un’esperienza che, più ancora del pogrom contro la sua comunità nel paese natale, gli ha marchiato indelebilmente l’esistenza: "Avevo più o meno venticinque anni ed ero arrivato in Israele dall’Italia per fare il servizio militare. Alla visita di leva però mi scoprirono una pleurite perforante e mi mandarono in un sanatorio a Sfad, tra il Golan e il lago di Tiberiade. Un giorno, vedo arrivare moltissime ambulanze, da cui uscivano barelle con decine di bambini dilaniati. Era stato attaccato lo scuolabus di un villaggio ebraico a ridosso del Libano. E’ stato un trauma spaventoso, ed è la cosa che mi ha cambiato per sempre la vita".Anche per questo, Zard pensa che "se c’è oggi un popolo al mondo che vuole la pace, quello è il popolo di Israele. Ma il popolo di Israele non è più disposto ad accettare compromessi autolesionisti. Mi era stato offerto di organizzare un grande evento per festeggiare i quarant’anni dell’ascesa al potere di Gheddafi. 'Torna a Tripoli, torna in Libia da libico', mi era stato detto, 'avrai grandi capitali a disposizione e carta bianca per organizzare qualcosa di indimenticabile'. Io avevo promesso a me stesso che in Libia non sarei più tornato (l’unica ragione per farlo, e cioè visitare la tomba di mio padre, non esisteva più, visto che il cimitero ebraico era stato distrutto), ma in ogni caso domandai: se torno, avrò davvero tutti i diritti di un libico? La risposta è stata: 'Ma che pretendi? Sei ebreo'".Zard dice che in Italia ha potuto conoscere la libertà, "mentre prima non sapevo che cosa fosse, e una volta conosciuto il sapore della libertà non è possibile farne a meno, anche se in Italia mi sono successe cose complicate, le molotov ai concerti, le accuse di essere un torturatore di palestinesi (figuriamoci), i pamphlet ostili. Non importa. Non difendere Israele, accettare che sia seppellita di bugie, va contro la libertà di tutti. Israele è un baluardo per la libertà di tutto l’occidente".
(Tratto da Il Foglio)di Nicoletta Tiliacos 6 Ottobre 2010,http://www.loccidentale.it/

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