giovedì 28 ottobre 2010


Grandi scrittori, visione irreale

Confesso che, ogni qual volta leggo su qualche giornale – e accade abbastanza spesso (da ultimo, in occasione del discorso pronunciato alla Fiera di Francoforte domenica 10 ottobre, riportato ne la Repubblica del giorno successivo – i commenti dedicati da David Grossman al conflitto medio-orientale, provo sempre una sottile, indefinibile sensazione di disagio, le cui ragioni appaiono a me stesso non pienamente chiare, ma sono essenzialmente riconducibili alla spiacevole divaricazione tra due moti d’animo di difficile conciliazione. Se è normale, infatti, essere in accordo o disaccordo con qualcuno, e anche avere posizioni intermedie, critiche o dialettiche, non è usuale nutrire, per la medesima persona, e nello stesso momento, sentimenti di profonda ammirazione e di netto dissenso.Ammirazione, innanzitutto, per il grande talento dello scrittore: per quella prosa raffinata, leggera, soffusa di nostalgia, tenerezza, dolore, che ne ha fatto meritatamente una celebrità mondiale. Ma anche per la forza dei valori morali, e per l’infaticabile impegno profuso nel difenderli, sempre e dovunque. L’aspirazione alla pace, in Grossman, assume il carattere di un inderogabile imperativo etico, che scuote la coscienza di tutti gli uomini, richiamandoli a rifuggire da ogni forma di violenza, di sopraffazione, di rassegnazione, a riscoprire un destino comune di fratellanza, a ricordare la dimenticata appartenenza all’unica famiglia umana. Profondamente innamorato del suo Paese, Grossman lega le sofferenze del suo popolo a quelle dei suoi avversari, augurando a tutti un futuro diverso, con parole profetiche, che richiamano le più nobili tradizioni dell’umanesimo e dell’universalismo ebraico.Quando, però, lo scrittore prova a descriverci, nello specifico, quel conflitto che tanto lo addolora, la visione che ne deriva appare del tutto irreale. La sua rappresentazione, infatti, è quella di due popoli, ostinati, da sempre, a combattersi, contro ogni logica di reciproca convenienza e utilità. Israele contro Palestina, israeliani contro palestinesi: sono sempre questi due, nella raffigurazione di Grossman, i protagonisti dell’assurdo, interminabile ‘duello’, e solo un’oscura follia, fatta scendere dagli dèi nelle loro menti, per offuscarle, pare impedire loro di raggiungere quell’obiettivo di pace che sembra così semplice, così vicino: eppure, ogni volta che si profila, finalmente, a portata di mano, viene sempre spinto, perfidamente, “un po’ più in là”.Difficilmente, nelle sue analisi, Grossman menziona altri soggetti, quali la Siria, il Libano, l’Iran o, per esempio, la Malesia, e tutti quegli stati, magari lontani, che pure – spesso, molto più della Palestina – si dicono acerrimi nemici del suo Paese e del suo popolo. Difficilmente parla dell’antisemitismo europeo, delle continue condanne di Israele in sede di Nazioni Unite, delle dure posizioni ecclesiastiche, degli innumerevoli gesti ostili anti-israeliani compiuti da organizzazioni o gruppi che con i palestinesi non hanno assolutamente nulla a che fare. Così facendo, egli sembra cadere in pieno in quella specie di ‘trappola’ mediatica che, a partire dal 1967, ha cambiato le carte in tavola, sostituendo alla contrapposizione tra Israele e mondo arabo quella – propagandisticamente assai più efficace – tra Israele e Palestina, solo Palestina. Gli altri antagonisti sono come scivolati sullo sfondo, e la lotta, da uno contro venti, è parsa diventare “uno contro uno” (con uno dei due, evidentemente, molto più forte, e perciò più responsabile).Un quadro monco, distorto, che deforma la verità storica, e non aiuta – al di là di ogni buona intenzione – a raggiungere delle possibili soluzioni.Francesco Lucrezi, storico http://moked.it/

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