venerdì 8 ottobre 2010


Ma è meglio non dividerci

Europa mi chiede di dire la mia sulla manifestazione “Per la verità, per Israele”. Non vi ho aderito pubblicamente, non perché non veda come Israele venga spesso “raccontato” in maniera distorta e si tenda a semplificare l’intreccio complesso delle vicende mediorientali.Come in altre circostanze analoghe, ribadisco che bisogna stare molto attenti a non confondere lo Stato d’Israele con il governo: massima solidarietà allo Stato, ma i governi passano, ogni governo ha una sua politica e questa politica non è detto che faccia sempre delle scelte giuste. Chi manifesta, se vuole veramente dare forza allo Stato di Israele ed esprimere solidarietà e vicinanza al popolo ebraico, non per questo deve pretendere che il governo, per il quale magari si prova simpatia, debba godere della simpatia generale, in Israele prima di tutto, e nella diaspora.Come si dice: due ebrei, tre opinioni. Ma certe baruffe, all’interno del mondo ebraico, se sono ben comprensibili appunto, al suo all’interno, appaiono poco decifrabili agli osservatori esterni. Credo che si debba essere chiari, sia all’interno sia all’esterno del mondo ebraico, al di là della manifestazione e delle polemiche di questi giorni, sul fatto che è necessario manifestare sempre e comunque solidarietà ai popoli. Tutti i popoli sono innocenti, semmai sono i governi a essere colpevoli. Perfino nel caso dell’Iran, mi guarderei bene, nonostante tutto, dall’assimilare il dittatore di Teheran con il suo popolo che si rivoltava nelle strade.Certo, quando si leggono le farneticazioni di Ahmadinejad, o si apprende di una sua prossima visita in Libano, non si può non pensare che le minacce siano inventate. Siamo su una china difficile e pericolosa. Non c’è proprio da stare allegri (come del resto è accaduto negli ultimi settant’anni).Ma le stesse minacce iraniane testimoniano che, se si vuole affrontare un problema complesso e gravido di pericoli, non bisogna farlo in termini contingenti e tattici di contrapposizione bensì in termini lungimiranti e strategici.E in ogni caso, insisto che bisogna essere solidali con i popoli, con tutti i popoli che soffrono e che sono minacciati, ma non necessariamente con i loro governi, che sono contingenti e transeunti. Sui governi ognuno ha il diritto di chiedere quello che crede, anche perché il governo è frutto di una maggioranza.Non riesco a concepire che un altro popolo sia un nemico, se un popolo è per la guerra è semplicemente perché la propaganda lo spinge verso la guerra. I popoli non sono mai per la guerra, hanno bisogni molto più fondamentali che vengono soddisfatti dalla pace e non dal conflitto. E d’altra parte, non è pacifista chi è da una parte sola, è pacifista chi vuole veramente creare le condizioni per il compromesso per la pace. Porsi da una parte sei un partigiano, la pace non si fa a spese degli altri.Certo – e non solo per il protagonismo di Ahmadinejad – questa non è una fase storica nella quale si possa essere ottimisti su quanto accade in Medio Oriente. Io sono molto scettico sulla pace in quella regione. Non si vede uno sbocco degli sforzi sia pure encomiabili per raggiungere un accordo. Eppure credo che tutte le persone ragionevoli, di qualsiasi orientamento, debbano insistere e, anche se sanno che la pace non è a portata, debbano contribuire a creare le condizioni necessarie perché si arrivi a un compromesso.Posizioni come quelle di Giorgio Israel, che traccia un parallelo tra la situazione odierna e quella degli anni Trenta, difficilmente si prestano al dialogo. Sono convinzioni che rispetto ma che non condivido. Così come la polarizzazione delle posizioni mi paiono entrambe insufficienti, sono poco sfumate, poco articolate, e comunque andrebbero precisate per essere più utili. Per certi versi sono d’accordo con Fiamma, per altri con Gad, ma quando si fanno certi discorsi, non si può usare l’accetta, bisogna convincere e creare più consenso, non spaccature. Non parlo solo di lacerazioni dentro la comunità ebraica, che comunque andrebbero evitate. Nei confronti del paese occorrerebbe fare uno sforzo per concedere a chi la pensa in maniera diversa spazio e a non impostare il confronto in maniera un po’ manichea, col risultato di non far probabilmente capire un bel nulla. Sono temi complessi, sofisticati e se tu non mandi un messaggio chiaro di solidarietà rivolto ai popoli, mantenendo libero lo spazio di libertà di critica al governo, si alimenta una confusione che non giova a nessuno. Riccardo Calimani 7 ottobre 2010,

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