venerdì 22 ottobre 2010


Sinodo, contro Israele solo poche voci

I giornali cercano di politicizzare il documento dei padri sinodali estrapolando alcune frasi. In realtà si legge: «Le nostre Chiese rifiutano l'antisemitismo e l'antiebraismo». Il Papa ribadisce che i veri problemi dei cristiani in Medio Oriente sono fede, comunione e missione
Il Foglio di oggi titola così un articolo sul Sinodo del Medio Oriente: I vescovi fanno di israele un capro espiatorio. Un suicidio. E' vero, c'è chi vede in Israele il male che genera l'oppressione dei cristiani palestinesi «che hanno il dovere di resistere. [...] Si auspica uno stato binazionale», ha affermato Michael Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme. Chi la pensa così lega l'esodo dei cristiani a fattori esclusivamente politici. Ma sono voci fuori dal coro. Perché il Papa e i testi ufficiali scritti dai padri sinodali vanno in tutt'altra direzione.Il testo principale uscito dopo la prima settimana, sebbene la stampa abbia estrapolato diverse frasi per politicizzarlo, dice ben altro. Per prima cosa, «la religione non deve essere politicizzata, né lo Stato prevalere sulla religione». Si legge poi che se «la situazione politico-sociale dei nostri paesi ha una ripercussione diretta sui cristiani» e se «le difficoltà dei rapporti fra arabi ed ebrei sono dovute alla situazione politica», per cui si è espressa solidarietà ai palestinesi che soffrono, la Santa Sede auspica che «i due popoli possano vivere in pace, ognuno nella sua patria con confini sicuri».Infine si legge: «Le nostre Chiese rifiutano l'antisemitismo e l'antiebraismo. Le difficoltà fra i due popoli sono dovute piuttosto alla situazione politica conflittuale. Noi distinguiamo tra realtà politica e religiosa». E' stato anche promosso l'impegno a rinnovare l'azione sociale comune e la preghiera dei salmi comunitaria.Non solo, lo stesso Benedetto XVI ha ricordato l'importanza per tutti, cristiani ed ebrei, di ritrovare l'unità. E l'ha fatto descrivendo la storia che accomuna il suo gregge al popolo ebraico. Nell'omelia d'apertura dei lavori ha ribadito «il metodo» con cui Cristo salva l'uomo. Quello «dell'alleanza, legandosi con amore fedele e inesauribile agli uomini, formandosi un popolo santo. [...] Questa regione del mondo, Dio la vede da una prospettiva diversa, “dall'alto”: è la terra di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; la terra dell'esodo, del ritorno dall'esilio; del tempio e dei profeti; la terra in cui il figlio Unigenito è nato da Maria, dove ha vissuto ed è risorto; la culla della Chiesa, costruita per portare il Vangelo fino agli estremi confini del mondo».Il vero dramma, secondo il testo sinodale, non sono le persecuzioni politiche, ma la mancanza di questa coscienza e di una fede viva in Gesù Cristo. E' questa la malattia reale per cui i cristiani mediorientali scappano davanti alla prova. Si legge, infatti, che il pericolo «non deriva soltanto dalla loro situazione di minoranza né da minacce esterne, ma soprattutto dal loro allontanamento dalla verità del Vangelo, dalla loro fede e dalla loro missione. La duplicità della vita, per il cristianesimo è più pericolosa di qualsiasi altra minaccia. Il vero dramma dell’uomo non è il fatto che soffra a causa della sua missione, ma che non abbia più una missione, per cui perde il senso e lo scopo della propria vita». Questa è la linea del sinodo e le preoccupazioni espresse dalle centinaia di interventi non sembrano proprio essere Israele, tra l'altro l'unico Stato dove i cristiani aumentano e dove esiste la libertà religiosa. 22 Ottobre 2010 http://www.tempi.it/

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