mercoledì 22 dicembre 2010


Froci in divisa, in Israele difendono i confini della democrazia sott’assedio

Lo scorso febbraio, oltre a parlare di sfide comuni in medio oriente, l’allora capo degli stati maggiori riuniti degli Stati Uniti, Mike Mullen, aveva discusso con il suo omonimo israeliano Gaby Ashkenazi un argomento che da giorni scalda l’opinione pubblica americana: l’atteggiamento verso i militari che si professano gay. Un tema su cui Tsahal (l’acronimo delle forze armate israeliane) è da vent’anni in cattedra. Israele è non solo una grande democrazia che da sessant’anni sfida l’emergenza bellica, l’assedio e l’ostilità di mezzo mondo, non è soltanto l’unico paese mediorientale dove gli omosessuali hanno il diritto a esistere, è anche quello con l’esercito più gay friendly del mondo, sebbene la scorsa primavera i perbenisti omosex della Spagna abbiano boicottato la controparte israeliana. La macchina di autodifesa militare più temuta è anche la più liberale sull’omosessualità. “Le preferenze sessuali non devono essere oggetto di vergogna o di segreto”, ha scritto il direttore della rivista militare israeliana Bamahane, il maggiore Yoni Schoenfeld. “E’ difficile sopportare un servizio militare in cui si debba custodire un segreto”.Nel 1993 fu Yitzhak Rabin ad assumere un atteggiamento liberale verso l’omosessualità fra i suoi militari. E su iniziativa di Yael Dayan, parlamentare e figlia del generale con la benda all’occhio, Israele aprì ai gay in divisa. Nel 1997 il Mevaker Hamedina, l’organo legislativo che supervisiona l’ordinamento dello stato, riconobbe Adir Steiner come il legittimo vedovo del colonnello Doron Maizel e gli assegnò i benefici previsti. Alcune celebri unità militari di Gerusalemme hanno oggi la fama di essere particolarmente idonee alle necessità degli omosessuali. Una di queste è l’intelligence informatica.La divisa oliva di Gerusalemme ha un debole per i gay nerboruti. Nel 1993 l’allora capo di stato maggiore Ehud Barak, il soldato più decorato della storia israeliana, commentò che “l’omosessualità non è una limitazione alla sicurezza”. Un soldato in Israele è un soldato, indipendentemente dal sesso del partner che lo aspetta a casa. Abu Odai, coordinatore capo delle brigate Martiri di al Aqsa, ha detto che Israele può essere sconfitto perché ha “un esercito di gay”. Israele invece ne ha fatto un motivo di forza e oggi i soldati omosessuali sono dislocati ovunque, ai check-point contro i kamikaze, nei cingolati di fronte a Gaza, nelle trincee anti Hezbollah.Nel quartier generale di Kirya, il pentagono di Tel Aviv, spesso capita di sentire un capitano rivolgersi ai suoi uomini urlando “sbrigatevi, ragazze”. E il fotografo Adi Nes è uno dei più venduti al mondo con le sue immagini di modelli muscolosi e seminudi che indossano la divisa di Tsahal. Chiunque approdi a Tel Aviv o a Gerusalemme, a Haifa o a Eilat “vede” l’omosessualità per le strade e nei caffè, nelle discoteche e nei centri commerciali, nelle annuali sfilate dell’orgoglio gay e in divisa. Vi è anche un libro dello psicologo Danny Kaplan, “David, Jonathan and Other Soldiers” (Kibbutz Hameuhad), dove si raccontano le storie dei gay che servono nell’esercito.Il film “Yossi & Jagger” parla di questo, senza pudori racconta l’amore tra due ufficiali dell’esercito in una nazione sconvolta dall’angoscia terroristica, colma di paura ma orgogliosa e con la schiena dritta. “Yossi & Jagger” non sono due macchiette, non ancheggiano, non sorridono effemminati: sono due uomini che scoprono di amarsi mentre fanno la guardia in un remoto avamposto di frontiera. Decisi a non farsi piegare da chi, oltre confine, ai gay vuole staccare la testa. © - FOGLIO QUOTIDIANO di Giulio Meotti

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