venerdì 10 dicembre 2010


Insieme per festeggiare Liu Xiaobo

Un'americana e un israeliano canteranno alla cerimonia di consegna del Nobel per la pace al dissidente cinese
TEL AVIV - Divideranno il palco del premio Nobel per la pace, sabato ad Oslo, per il concerto in onore di Liu Xiaobo, il dissidente cinese in prigione, che non sarà li a ritirare il premio. Lui israeliano, lei americana, chiederanno con la loro canzone di «fare un regalo al mondo» e accettare tutte le diversità, per abbattere le barriere che dividono gli uomini. La cantautrice statunitense India Arie (tre Grammy Awards) ha voluto con sé Idan Raichel, la star della world music israeliana con il quale sta lavorando al nuovo album, per cantare insieme «Gift of Acceptance», una canzone sulla pace scritta a quattro mani, durante la cerimonia condotta dagli attori Denzel Washington e Anne Hathaway in cui suoneranno anche Barry Manilow, Jamiroquai e Herbie Hancock. Raichel stava suonando il pianoforte, cercava nuovi arrangiamenti per un pezzo, nella sua casa-studio a nord di Tel Aviv, quando gli è squillato il telefono: «Idan, ci vediamo ad Oslo per il concerto del Premio Nobel. Verrai con me!», gli ha detto India. IL CONFLITTO SULLA PELLE - «L’emozione mi ha letteralmente travolto– racconta Idan -. India ha scritto il testo e io la musica. Certo non è come ricevere il Nobel, ma per un musicista israeliano, nato e cresciuto in una terra dilaniata dal conflitto, poter eseguire una canzone alla celebrazione per il Nobel per la pace è una cosa straordinaria, che ha anche un grande valore simbolico. Shimon Peres e Itzhak Rabin hanno preso quel premio perché hanno aperto la porta al dialogo, per mettere fine alla guerra perenne in Medio Oriente. Io credo che la musica possa fare qualcosa, ed è ciò che cerco ogni giorno nelle mie canzoni. Penso spesso alle parole di John Lennon “Give Peace a Chance”, che ha portato il messaggio di pace in ogni angolo della Terra. Tutti pensano che Tel Aviv sia una bolla isolata dalla realtà israeliana, ma non è vero. Qui sentiamo tutto, c’è l’esercito, ci sono stati gli attentati, la guerra è arrivata anche qui, l’Iran del nucleare è un pericolo reale pure per noi di Tel Aviv. Portiamo i segni del conflitto sulla pelle. Il nostro grido, l’anelito alla pace, è un monito per tutta la società civile e da Oslo il messaggio arriverà nelle case di tutto il mondo». MUSICISTA CAPELLONE - Idan ha fatto il servizio militare, e in Israele non è cosa da poco: proprio all’esercito si è seduto per la prima volta alla tastiera, lasciando il mitra in un angolo. Ha creato un gruppo e si è esibito per tre anni nelle basi militari «per strappare un sorriso ai soldati». Adesso ha trentatre anni, dai tempi della leva non si è più tagliato i capelli, ed è diventato così il musicista «capellone» con i dreadlock alla Bob Marley, amato da tutte le teenager d’Israele. Ha messo su il suo Idan Raichel Project, che ospita musicisti immigrati etiopi, russi, yemeniti, brasiliani, che si sono esibiti con lui in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti, dove è nata la collaborazione e l’amicizia con India Arie. Ha suonato con gli indiani, i ruandesi, i marocchini e gli iraniani, registrando tre album (il New York Times lo ha scelto come «uno dei progetti di world music più importanti»). PAURA DELL'OMOLOGAZIONE - «Non posso pensare alla mia musica senza la diversità, che secondo me è la ricchezza di tutti noi. Accettare la diversità è il primo passo per arrivare alla pace - dice Raichel -. L’obiettivo non è avere ragione, bisogna saper guardare al diverso e accettarlo, comprenderlo. Questo è il messaggio della nostra canzone. E’ importante che gli artisti palestinesi si esibiscano all’estero, come gli israeliani. E’ importante che lo facciano anche i musicisti iraniani, siriani e libanesi. In questi paesi non ci sono solo il conflitto e la politica, ma anche la cultura, l’arte, e la gente, diversa da noi, che vuole continuare a diffonderla. I governi si alternano, i regimi prima o poi cadono, ma la gente resta e combatte per i propri diritti e per il futuro. Mi commuovo se penso agli studenti iraniani che si ribellano al regime. Mi fa paura tutto ciò che è omologato, sempre uguale. Dal palco di Oslo continuerò la mia battaglia a suon di pianoforte per le cose in cui credo, per la diversità e la pace. Il pianoforte è l’unica arma che ho». Ariela Piattelli0 8 dicembre 2010,http://www.corriere.it/

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