domenica 12 dicembre 2010


Israele e il prezzo della pace

«Se fossi certo che l'Iran è in possesso di armi nucleari, e se fossi un governante di un qualsiasi stato, non esiterei a caldeggiare un intervento armato internazionale per neutralizzarle». Lo dice con serenità e fermezza Ugo Volli, ordinario di Semiotica all'università di Torino, con esperienze d'insegnamento ad Haifa (Israele) e negli Stati Uniti.
Professor Volli lei è un intellettuale ebreo, docente e collaboratore di alcuni giornali come Il Mattino di Napoli, l'Avvenire, cioè il quotidiano dei vescovi, ed il sito "Informazione corretta" di Angelo Pezzana. La domanda preliminare è quasi d'obbligo: cosa vuol dire essere ebreo?Sono un ebreo italiano, ho fatto il servizio militare con l'incarico di autiere e l'Italia è il mio Paese. Essere ebrei, e questo vale per tutti i popoli, vuol dire avere una tradizione, un senso di appartenenza e una continuità storica, un legame con le proprie radici. Personalmente sono credente, non mi occupo di teologia ma amo lo studio dei testi sacri e della tradizione culturale ebraica.A parte le rivelazioni di Wikileaks sui documenti del Dipartimento di Stato americano concernenti i timori di alcuni leader arabi su un possibile futuro attacco nucleare iraniano, Israele da tempo ha palesato la sua inquietudine per questo possibile conflitto ed anche la volontà d'intervenire militarmente, lei crede sia uno scenario di guerra che può divenire reale?Sì lo credo, c'è una frattura geopolitica storica tra semiti e persiani. Israele è sicuro che l'Iran cerchi di ottenere l'atomica e ritiene che l'embargo non sia sufficiente a fermare il regime degli Ayatollah. Lo dimostra appunto il timore dei sauditi e degli emirati arabi che il pericolo di un conflitto è reale, e non bisogna dimenticare che la portata dei missili iraniani è tale da raggiungere anche l'Italia.Ma perché l'Iran dovrebbe attaccare gli Emirati e l'Arabia Saudita?Il petrolio interessa molto. I sauditi e gli arabi degli Emirati sono pochi e ricchi, gli iraniani numerosi e non altrettanto benestanti. Questo può spiegare velleità espansionistiche e spinte guerrafondaie degli iraniani.Ma è anche l'occidente che corre i suoi rischi, Israele in tal senso costituisce un baluardo difensivo. Se dovesse crollare, l'Europa ne dovrebbe sopportare gravissime conseguenze.Alcuni politologi dicono che Israele ha interesse ad evocare lo spettro della guerra nucleare per mantenere alta la tensione nell'area mediorientale, e avere così il pretesto per non negoziare una pace duratura con i palestinesi, evitando così cessioni territoriali nelle zone occupate. Qual è secondo lei la strategia politica dello stato ebraico?Israele vuole la pace e non ha nessun interesse a mantenere uno stato di tensione. Non è bello vivere con il costante pericolo di subire attentati. In Israele c'è la democrazia, gli arabi israeliani hanno il diritto al voto ed a candidarsi alle cariche pubbliche, gestiscono scuole e giornali. Cristiani, musulmani ed ebrei vivono in pace in Israele, liberi di esprimere le loro opinioni e praticare la loro religione.Se c'è questa volontà di pace, corroborata dalla vocazione democratica dello stato ebraico, perché tanto sangue è stato versato? Perché ad esempio ci sono state offensive israeliane contro la striscia di Gaza, come la terribile operazione "Piombo fuso"?Dopo la vittoria politica di Hamas era nato un governo palestinese con la partecipazione di Al Fatah. La crisi di governo del 2007 ha indotto il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, ad affidare ad un uomo di Al Fatah la guida di un nuovo governo. Hamas ha imbracciato le armi, massacrando molti uomini di Al Fatah, un vero colpo di stato. La striscia di Gaza è caduta in mano ai miliziani di Hamas, e sono iniziati i lanci di razzi contro Israele, che è stato costretto a reagire.Sia in Israele, sia tra i palestinesi, sembra prevalere l'idea che ogni possibile accordo di pace tra le parti debba essere sottoposto a referendum popolare, al di là delle ideologie e degli statuti dei partiti politici. Le pare una buona idea, o c'è il pericolo di una deriva populista?Sì, è una buona idea. In omaggio ai principi democratici è giusto fare i referendum. Non penso si tratti di populismo ma, lo ripeto, di esercitare un diritto democratico da parte dei cittadini.L'ultima domanda, quella che sempre si fa in questi casi: ci sarà pace in Palestina, e come ci si può arrivare?Credo sia necessario e giusto che nasca uno stato palestinese. Deve essere diviso il territorio compreso tra il Giordano e il mar Mediterraneo, con la possibilità reciproca di continuare a risiedere nelle due aree da parte delle minoranze; ebrei e arabi dovranno imparare a convivere. Sarà opportuno aprire una via di comunicazione tra il futuro stato palestinese e Gaza. Con la buona volontà di tutti, in prospettiva la pace potrà esserci.09 Dicembre 2010 http://www.nuovasocieta.it/

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