martedì 21 dicembre 2010


Quando la bandiera diventa un diritto importante

Di Yoaz Hendel, http://www.israele.net/
Chiedo venia se mi permetto di guastare la scintillante parata inaugurale dei mondiali di nuoto in Dubai, ma quando ho visto sfilare i nuotatori israeliani senza la bandiera e senza il nome del loro paese mi sono sentito alquanto a disagio.Con tutto il dovuto rispetto per le aperture del governo del Dubai, va chiarito che loro hanno bisogno degli atleti israeliani almeno quanto gli atleti israeliani hanno interesse a partecipare al campionato in Dubai. Se il Dubai vuole ospitare competizioni sportive internazionali, deve accettare tutti indipendentemente da religione, credo e origine, in linea con la Carta del Comitato Olimpico. La conseguenza logica di questo concetto è molto semplice: se Israele non può partecipare a una competizione in Dubai, allora la competizione verrà spostata altrove.Le autorità del Dubai sono alla caccia di grandi onori: vogliono ospitare importanti gare e trasformare il loro paese in un centro internazionale dello sport. Per questo sono anche disposti a ingoiare la presenza di una rappresentanza sportiva israeliana. Il problema sorge quando gli organizzatori di eventi sportivi cercano di farlo dando allo stesso tempo l’impressione di non farlo: vogliono ospitare gli israeliani affinché gli enti internazionali riconoscano il Dubai come degno e adeguato, ma dall’altra parte vogliono nascondere la presenza di Israele.È vero, bandiere e simboli non sono tutto. Israele per anni ha coltivato legami diplomatici segreti con diversi paesi arabi che ufficialmente non lo riconoscono nemmeno, e in alcuni casi si è trattato di vicende fruttuose, tornate a vantaggio di entrambe le parti. Ma cultura e sport non appartengono alla sfera della segretezza. È vero il contrario: sono la voce più alta e forte di cui disponiamo. Ed è qui che salta fuori la questione della bandiera, del nome e dei simboli di Israele.Si può sostenere che si tratti di un modo di pensare ristretto e persino infantile. Ma a mio modo di vedere, nel 2010 non è possibile che esistano circostanze in cui si pretende che un atleta israeliano, che rappresenta lo stato nazionale del popolo ebraico, rinunci alla sua bandiera per comparire come una sorta di ebreo errante senza patria. I nuotatori israeliani a Dubai rappresentano uno stato che ha un nome e una bandiera, e non c’è motivo perché si debba impedire loro di usare questi simboli.Non mi aspetto che il ben noto capo della polizia di Dubai appenda bandiere israeliane ai lampioni. Ma mi aspetto senz’altro che le autorità di quello stato si attengano al dovere di rendere noto il paese d’origine dei nuotatori, e permettano alla bandiera israeliana di sventolare dove gareggiano gli atleti israeliani.Se gli organizzatori ritengono di non poter accordare un eguale trattamento agli atleti israeliani, allora noi israeliani dovremmo evitare di partecipare. Certo, questo farebbe perdere ai nostri atleti una o più gare importanti, ma perlomeno questa scelta farà arrivare un chiaro messaggio agli organizzatori: si può e si deve perseguire un trattamento eguale per tutti gli atleti, compresi quelli israeliani.Ecco perché bisogna impuntarsi su simboli e bandiere. Sbaglia chi pensa che spirito sportivo e buona volontà siano sufficienti per indurre un cambiamento: bisogna fare il gioco duro, ed esigere ciò che ci spetta secondo la Carta Olimpica.(Da: YnetNews, 20.12.10)

Nessun commento: