sabato 8 gennaio 2011



Atlit, campo prigionia inglese
Dieci anni

Essendosi appena concluso il primo decennio del XXI secolo, può essere utile tentare di abbozzare un sintetico consuntivo del bene e del male verificatisi, in questi dieci anni, per l’ebraismo e gli ebrei nel mondo. Già abbiamo avuto modo di ricordare come l’11 settembre del 2001 abbia rappresentato un brusco risveglio rispetto alle speranze - sorte, soprattutto, nel 1989, con la caduta del muro - di una definitiva affermazione, sul piano mondiale, dei valori di libertà, democrazia e tolleranza, di un’etica condivisa, riconosciuta e rispettata da tutti. E se l’ultimo decennio del XX secolo è stato segnato da tanti fatti positivi, che sono sembrati avallare, in vario modo, tale grande illusione (l’ampia coalizione internazionale contro Saddam Hussein e la sconfitta del dittatore, nel 1991, la Conferenza di pace di Madrid, nello stesso anno, il reciproco riconoscimento tra Israele e l’Autorità palestinese, nel 1993, l’allacciamento di rapporti diplomatici con la Santa Sede e il regno di Giordania, nel 1994), il primo decennio ha purtroppo confermato, in numerose occasioni, una netta inversione di tendenza. Tale cambiamento, in senso decisamente negativo, a voler essere precisi, ci sembra avviato esattamente nell’anno 2000, quando viene annunciata la beatificazione di Pio IX (il papa del ghetto, del Sillabo e del caso Mortara), è pubblicata la Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della Fede (ove si auspica la salvezza degli israeliti “attraverso Cristo”), e la cd. Seconda Intifada sembra violentemente travolgere le speranze di pace in Medio Oriente. Negli anni successivi, le posizioni della Chiesa verso l’ebraismo sembrano prendere un deriva di crescente chiusura e inimicizia (fino alla reintroduzione, nel 2008, della preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei, e, nel 2009, alla revoca della scomunica per i vescovi lefebvriani), e la situazione in Medio Oriente segna un costante deterioramento, con i continui lanci di razzi da Gaza, i crescenti proclami di odio da Siria e Libano, gli apocalittici annunci di olocausti nucleari dall’Iran. Due guerre, nel 2006 e 2008-2009, la crudele prigionia, da quasi cinque anni, di Gilad Shalit, un inquietante moltiplicarsi di episodi di antisemitismo in Europa, Russia, Turchia, preoccupanti segnali di isolamento internazionale di Israele. Eppure, il decennio non ci lascia solo cose brutte. Mai come in questi ultimi anni, infatti, l’ebraismo ha dimostrato una straordinaria vitalità e creatività intellettuale, in Israele, in Europa e in America, raggiungendo mirabili risultati nei più disparati campi delle scienze e delle arti. Gli scambi internazionali con le Università israeliane, nonostante le proposte di boicottaggio avanzate dai soliti gruppetti di professori antisemiti, si sono incrementati, diversi scienziati israeliani sono stati premiati in contesti prestigiosi, fino al Nobel, gli scrittori israeliani ed ebrei americani figurano tra i più amati e ammirati del mondo: Oz, Yehoshua, Roth, Foer hanno aperto, in milioni di case, nuove porte dell’anima e della coscienza. In Italia, in particolare, è molto aumentata la conoscenza, a tutti i livelli, della realtà ebraica, che ha fortemente guadagnato in rispetto e prestigio presso larghi strati di opinione pubblica. E, pur in un clima politico di aspre contrapposizioni, la solidarietà di fondo verso lo Stato ebraico sembra condivisa, alquanto solida e diffusa, in tutti i grandi schieramenti. Abbiamo quindi, nonostante tutto, qualche motivo di consolazione, e qualche ragione di cauta speranza.Francesco Lucrezi, storico http://www.moked.it/

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