giovedì 13 gennaio 2011




L'Exodus, simbolo della diaspora e del ritorno

L’ex traghetto americano traboccava di «vittime, di profughi martoriati e pieni di cicatrici. Oggi essi sono uno Stato»
LO Stato d'Israele non nacque nel 1948, quando fu proclamato ufficialmente nel museo di Tel Aviv, ma circa un anno prima, il 18 luglio 1947, nel momento in cui la sgangherata nave americana President Warfield, ribattezzata Exodus, entrò nel porto di Haifa. Lo Stato d'Israele nacque prima di avere un nome, quando le sue porte erano sprangate agli ebrei e gli inglesi combattevano i sopravvissuti della Shoah. Nacque quando l'accesso alle coste del paese venne impedito a coloro ai quali erano in realtà destinate, per mezzo di quarantacinque modernissime navi militari, quasi tutte di classe C, che gli inglesi avevano costruito verso la fine della seconda guerra mondiale ma che non avevano fatto in tempo a utilizzare, una flotta enorme anche secondo i parametri odierni: incrociatori, fregate, dragamine, vedette corazzate, pattugliatori. [...] Israele nacque il giorno in cui i soldati di Sua Maestà assalirono i passeggeri di una nave che, fino a poco tempo prima, stava concludendo sul Potomac, nell'Est degli Stati Uniti, una lunga esistenza come traghetto destinato al salvataggio, e lanciarono centinaia di bombe lacrimogene sulle 4515 persone che vi erano rimaste intrappolate, gente che due anni prima aveva rischiato di essere uccisa da un altro gas, in un altro luogo. Mentre la nave veniva rimorchiata verso il porto di Haifa, sotto gli occhi attenti della delegazione dell'Unscop, il noto avvocato Bartley Cramm, membro della commissione anglo-americana incaricata di risolvere la questione della Terra d'Israele, enunciò l'equazione «Exodus uguale rivolta del tè di Boston». Lo stato ebraico nacque prima ancora di essere creato, dall'incontro dell'Exodus con i delegati condotti a Haifa non appena fu annunciato l'arrivo della nave, dall'intelligenza degli ufficiali di bordo e soprattutto dalle sofferenze dei passeggeri, dalla frustrazione per l'attacco in mare aperto, proprio davanti alle coste del paese, e dall'avvilimento dovuto all'espulsione e al tormentato viaggio via mare verso la Germania, dove vennero gettati nel campo di Poppendorf, vicino ad Amburgo, un ex campo di concentramento nazista. [...]Era mattina presto. Yossi camminava lungo la spiaggia di Tel Aviv e pensava: però, ne abbiamo fatte di cose. Più o meno quattrocentomila rifugiati hanno attraversato l'Europa e si sono ritrovati sulle coste del Mediterraneo per venire qui. Certi ce l'hanno fatta. Nell'agosto del 1945, con la prima nave dell'Agenzia per l'aliyah parallela, la Dalin, ne sono arrivati trentacinque. I pan [le navi più grandi della storia dell'immigrazione clandestina in terra d'Israele fra la fine della guerra e la creazione dello stato ebraico] (che in realtà concludevano la storia dell'immigrazione clandestina) ne hanno trasportati 15.236 in una sola volta. Mentre tornava a casa, fu preso comunque da un'opprimente sensazione di vuoto. Si era portato dietro la popolazione di due città, e gli sembrava di tornare da un campo di battaglia. In Terra d'Israele gli scontri erano all'ordine del giorno, sanguinosi, violenti. Capì che si chiudeva un capitolo, e che in quel preciso istante cominciava il resto della sua vita. Dopo l'Exodus, ci fu la guerra d'indipendenza. Finiva il primo capitolo, cominciava il secondo. Dopo i pan, Yossi proseguì il suo cammino, che per molti anni ancora lo portò ad agire soprattutto nell'ombra. E per tutto quel tempo, l'Exodus, l'«Uscita dall'Europa», fu la sua parola d'ordine, la giustificazione esistenziale che gli permise di credere che la strada che aveva scelto fosse quella giusta. E poi, l'Exodus non era arrivato solo. Era arrivato in compagnia di milioni di morti e di vivi, di sognatori, di una lotta permanente. Era arrivato in compagnia di un piccino sepolto in mare, di una macchia nera nella storia dell'umanità, delle porte chiuse in faccia a un popolo da sempre indesiderato. Era arrivato in compagnia di un cittadino del mondo come Raul Wallenberg, che salvò degli ebrei ungheresi e poi scomparve, di qualcuno come Hillel Kook, di quelli che reagirono, e fecero del loro meglio, e tennero duro nonostante l'indifferenza e la crudeltà degli Alleati. Era arrivato in compagnia del silenzio urlante della Chiesa, della stampa internazionale, della maggior parte degli uomini di spirito di tutto il mondo, degli intellettuali inglesi che videro il loro governo rimandare in Germania i superstiti dell'Olocausto e tacquero. Era arrivato in compagnia di una donna morta di parto e di tre martiri, i suoi martiri: Bill Bernstein, giovane volontario americano; Mordehai Baumstein, ventitre anni, membro del movimento giovanile haShomer haTzair; Zvi Jacubowicz, sedici anni, orfano. Era arrivato in compagnia di migliaia di candele azzurre, di duecento feriti, di 2437 maapilim [immigrati clandestini] morti in mare mentre viaggiavano verso una terra che non toccarono mai, di 700 disgraziati abitanti di Kladovo che furono costretti a nuotare nel ghiaccio del Danubio, a correre nudi e a scavare la fossa nella quale in nazisti li avrebbero gettati dopo averli abbattuti. Era arrivato in compagnia della Struma, della Mekfure e della Salvador, che erano affondate. Era arrivato in compagnia dei 115.000 maapilim il cui viaggio fu coronato dal successo. Erano vittime, erano profughi martoriati e pieni di cicatrici. Sono lo Stato d'Israele.
Stage Roma 2007 1 - Francesca Colista 10 gennaio 2011

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