La protesta non si è ancora spenta in Egitto, ma le conseguenze del cambio di regime ai danni di Hosni Mubarak si fanno già sentire nei Territori palestinesi e scuotono sia la leadership dell’Autorità nazionale sia gli estremisti di Hamas. Ieri il premier Salam Fayyad ha rimesso il mandato nelle mani del presidente Abu Mazen, il quale l’ha subito incaricato di formare un nuovo governo. Da Ramallah, il portavoce dell’esecutivo nega che il rimpasto sia collegato alle proteste egiziane, ma i dubbi in proposito sono molti. Spesso accusata di corruzione e scarsa legittimità popolare, al pari del regime di Hosni Mubarak, l’Anp è stata tra le prime leadership arabe, assieme a quella giordana, a reagire alle richieste di riforme. Abu Mazen ha indetto le elezioni locali ancor prima delle dimissioni del rais egiziano, poi ha annunciato che i palestinesi andranno al voto “entro settembre” per scegliere i membri del Parlamento e il nuovo presidente. Le elezioni sono state rimandate un anno fa per la situazione nella Striscia di Gaza, dove Hamas governa con la forza dal 2007. La decisione di andare alle urne ha spiazzato gli islamisti, che hanno già rifiutato di partecipare al voto. Sulla carta, Hamas ha tutto da guadagnare dalla sollevazione egiziana. Difficilmente sarà mantenuta l’intransigenza di Mubarak, che dava la caccia agli uomini del movimento nel Sinai e, assieme a Israele, imponeva l’embargo su Gaza: chiunque prenda il potere al Cairo nei prossimi mesi dovrà fare i conti con le simpatie popolari per i palestinesi e con l’ascesa dei Fratelli musulmani, salutata con favore a Gaza. Hamas ha già beneficiato dell’anarchia che ha accompagnato la caduta del regime egiziano. Diversi terroristi sono fuggiti dalle carceri del Cairo e sono tornati nella Striscia; nei giorni della rivolta, i tunnel usati da Hamas per rifornire la Striscia di armi e provviste hanno ripreso a funzionare a pieno regime. Hamas deve però guardarsi dal pericolo di un contagio interno della voglia di libertà e democrazia: i giovani di Gaza hanno già cominciato a organizzarsi su Facebook, creando pagine che inneggiano al “cambiamento” e invitano la popolazione a scendere in piazza. Tuttavia è improbabile che i festeggiamenti per la caduta di Mubarak, che hanno coinvolto migliaia di palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania governata da Abu Mazen, si trasformino in un movimento di rivolta. Ma, preparandosi alle elezioni, l’Anp ha saputo comunque giocare d’anticipo e ha rivelato quanto Hamas sia debole e impopolare, spiega Hillel Frisch, ricercatore del centro di studi strategici dell’Università Bar Ilan di Tel Aviv. “L’Anp ha mostrato di essere democratica e vitale – dice al Foglio l’analista – Hamas ha una sola ragione per rifiutare le elezioni: ha paura di perdere”. Ma l’ipotesi di nuove elezioni è importante per un altro motivo. Se Hamas rifiuterà di allargare le consultazioni a Gaza, a votare saranno soltanto i cittadini della Cisgiordania. Agli occhi dell’opinione pubblica, a quel punto, Ramallah rappresenterebbe il nuovo stato palestinese. L’operazione isolerebbe ancora di più la Striscia: potrebbe scattare così una caccia all’uomo, come già avvenne durante il golpe di Hamas e più di recente durante l’operazione Piombo fuso dell’esercito israeliano. Lo stallo nelle trattative con Gerusalemme è l’altro grande motore dei cambiamenti nelle gerarchie palestinesi. La scorsa settimana si è dimesso il capo negoziatore, Saeb Erekat, travolto dalle rivelazioni di Jazeera: secondo il network arabo, gli uomini di Abu Mazen erano vicini al compromesso sulla divisione di Gerusalemme e sul problema dei profughi. Il FOGLIO,15/02/2011
giovedì 17 febbraio 2011
Denis Zilber
" Problema: che cosa succede se la protesta arriva anche a Gaza?"
La protesta non si è ancora spenta in Egitto, ma le conseguenze del cambio di regime ai danni di Hosni Mubarak si fanno già sentire nei Territori palestinesi e scuotono sia la leadership dell’Autorità nazionale sia gli estremisti di Hamas. Ieri il premier Salam Fayyad ha rimesso il mandato nelle mani del presidente Abu Mazen, il quale l’ha subito incaricato di formare un nuovo governo. Da Ramallah, il portavoce dell’esecutivo nega che il rimpasto sia collegato alle proteste egiziane, ma i dubbi in proposito sono molti. Spesso accusata di corruzione e scarsa legittimità popolare, al pari del regime di Hosni Mubarak, l’Anp è stata tra le prime leadership arabe, assieme a quella giordana, a reagire alle richieste di riforme. Abu Mazen ha indetto le elezioni locali ancor prima delle dimissioni del rais egiziano, poi ha annunciato che i palestinesi andranno al voto “entro settembre” per scegliere i membri del Parlamento e il nuovo presidente. Le elezioni sono state rimandate un anno fa per la situazione nella Striscia di Gaza, dove Hamas governa con la forza dal 2007. La decisione di andare alle urne ha spiazzato gli islamisti, che hanno già rifiutato di partecipare al voto. Sulla carta, Hamas ha tutto da guadagnare dalla sollevazione egiziana. Difficilmente sarà mantenuta l’intransigenza di Mubarak, che dava la caccia agli uomini del movimento nel Sinai e, assieme a Israele, imponeva l’embargo su Gaza: chiunque prenda il potere al Cairo nei prossimi mesi dovrà fare i conti con le simpatie popolari per i palestinesi e con l’ascesa dei Fratelli musulmani, salutata con favore a Gaza. Hamas ha già beneficiato dell’anarchia che ha accompagnato la caduta del regime egiziano. Diversi terroristi sono fuggiti dalle carceri del Cairo e sono tornati nella Striscia; nei giorni della rivolta, i tunnel usati da Hamas per rifornire la Striscia di armi e provviste hanno ripreso a funzionare a pieno regime. Hamas deve però guardarsi dal pericolo di un contagio interno della voglia di libertà e democrazia: i giovani di Gaza hanno già cominciato a organizzarsi su Facebook, creando pagine che inneggiano al “cambiamento” e invitano la popolazione a scendere in piazza. Tuttavia è improbabile che i festeggiamenti per la caduta di Mubarak, che hanno coinvolto migliaia di palestinesi a Gaza e nella Cisgiordania governata da Abu Mazen, si trasformino in un movimento di rivolta. Ma, preparandosi alle elezioni, l’Anp ha saputo comunque giocare d’anticipo e ha rivelato quanto Hamas sia debole e impopolare, spiega Hillel Frisch, ricercatore del centro di studi strategici dell’Università Bar Ilan di Tel Aviv. “L’Anp ha mostrato di essere democratica e vitale – dice al Foglio l’analista – Hamas ha una sola ragione per rifiutare le elezioni: ha paura di perdere”. Ma l’ipotesi di nuove elezioni è importante per un altro motivo. Se Hamas rifiuterà di allargare le consultazioni a Gaza, a votare saranno soltanto i cittadini della Cisgiordania. Agli occhi dell’opinione pubblica, a quel punto, Ramallah rappresenterebbe il nuovo stato palestinese. L’operazione isolerebbe ancora di più la Striscia: potrebbe scattare così una caccia all’uomo, come già avvenne durante il golpe di Hamas e più di recente durante l’operazione Piombo fuso dell’esercito israeliano. Lo stallo nelle trattative con Gerusalemme è l’altro grande motore dei cambiamenti nelle gerarchie palestinesi. La scorsa settimana si è dimesso il capo negoziatore, Saeb Erekat, travolto dalle rivelazioni di Jazeera: secondo il network arabo, gli uomini di Abu Mazen erano vicini al compromesso sulla divisione di Gerusalemme e sul problema dei profughi. Il FOGLIO,15/02/2011
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