sabato 12 febbraio 2011


Gerusalemme
Anche i “laici” del Cairo contro Israele. La tentazione nasserista

Roma. Se un portavoce dei Fratelli musulmani ha annunciato che “il popolo egiziano dovrebbe prepararsi alla guerra contro Israele”, c’è un altro pericolo, oltre a quello islamista, che pende sul futuro dell’Egitto e sulla stabilità della regione. Sul Wall Street Journal, Bret Stephens ha scritto che un possibile scenario del dopo Mubarak potrebbe essere la sopravvivenza del regime con un radicale cambio di linea in politica estera. Un regime “secolare ma reazionario”, antiamericano e antisraeliano, “un ritorno alle origini nasseriste”. La Carnegie Foundation ha pubblicato i programmi dei partiti che prenderanno parte alla battaglia politica in Egitto. Dal Wafd, storico partito liberale di opposizione, ai comunisti del Tagammu, fino ai socialisti e i nasseristi, i secolaristi anti Mubarak auspicano tutti una revisione o una rottura dei rapporti con Gerusalemme. A governare sulla “pace fredda” con Gerusalemme resta soltanto il regime di Mubarak. Il protagonista delle rivolte, Mohamed ElBaradei, ha paragonato la potenza nucleare israeliana a quella iraniana e ha detto che Israele è il peggiore pericolo per il medio oriente. “Israele ha stretto un trattato di pace con Mubarak, non con l’Egitto”, ha dichiarato il premio Nobel per la pace. Il partito Karama di Hamdeen Sabahi, nasseriano e di sinistra, prevede il pluralismo politico, una “rinascita egiziana”, ma anche “l’opposizione all’interferenza occidentale negli affari egiziani”. Sabahi ha detto che si deve porre fine al “dominio israelo-americano sull’Egitto”. Lo storico partito Wafd, che ha sei seggi in Parlamento dopo la tornata elettorale del 2005, auspica decentralizzazione, abolizione dello stato di emergenza, ma anche “rafforzamento dei legami con i paesi islamici” e l’alleanza col Sudan. Il principale partito di sinistra Tagammu, con cinque seggi parlamentari, oltre a un’agenda di libertà civili e di democrazia partecipata, rivendica i “principi antisionisti”, “promuove la solidarietà fra gli stati arabi, sostiene la causa palestinese e si oppone alla normalizzazione con Israele”. Il Partito nasserista, che ha un’anima statalista e socialista contraria alle liberalizzazioni, vuole “risolvere la questione palestinese attraverso l’espulsione delle forze di occupazione da tutte le terre arabe” e si oppone alla “normalizzazione delle relazioni con Israele”. Il partito socialista arabo, nato nel 1976 durante il regime di Sadat, vuole “promuovere unità e solidarietà fra gli stati arabi”. L’attuale segretario e leader del partito laburista, Magdi Hussein, sta scontando due anni di prigione per essere entrato illegalmente a Gaza durante la guerra d’Israele del dicembre 2008, in sostegno ad Hamas. E’ lo stesso Labour Party la cui nascita fu favorita da Sadat per sostenere proprio il trattato di pace con Gerusalemme. Anche il celebre movimento di protesta Kifaya, molto presente nella piazza Tahrir, chiede “opposizione all’influenza d’Israele e degli Stati Uniti nella regione”. Il sindacalista George Ishak, a capo del movimento Kifaya che nel 2005 galvanizzò un’ondata di proteste contro Mubarak e contro la possibile designazione del figlio Gamal come suo successore, ha detto che “l’accordo di Camp David è soltanto inchiostro su carta”. Stessa posizione per il “Movimento 6 aprile”, nato un anno fa e che auspica l’annullamento degli accordi di Camp David fra Israele e l’Egitto. Il Fronte democratico prevede di “resistere all’espansionismo israeliano e sostenere la causa palestinese”. Dunque non sono soltanto ElBaradei e i Fratelli musulmani a voler rovesciare lo status quo con Israele. L’intero spettro delle forze secolariste egiziane, a eccezione della formazione liberale di Ayman Nour, vuole rivedere la trentennale “pace fredda” con lo stato ebraico. Per dirla con Saeed Abdel Khalek, direttore del quotidiano del partito Wafd, “non c’è una casa egiziana che non abbia un martire, ucciso in una delle nostre guerre con Israele; ero un ufficiale nel 1973 e non posso stringere la mano di un israeliano, e come me la pensa la grande maggioranza del popolo”. Il FOGLIO 11/02/2011

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