venerdì 18 febbraio 2011


Haifa - centro Bahai

Elezioni palestinesi, purché valide

Editoriale Jerusalem Post http://www.israele.net/
Gli effetti a catena della destituzione di Hosni Mubarak in Egitto si fanno sentire in tutta la regione. Il messaggio che arriva da Piazza Tahrir è che i leader del Medio Oriente che vogliono restare al potere devono guadagnarsi una legittimità attraverso un processo elettorale corretto e democratico.La palese manipolazione delle elezioni parlamentari in Egitto dello scorso autunno è stata perlomeno una delle cause della caduta di Mubarak. Non che qualcuno si aspettasse una sconfitta del National Democratic Party, che governava il paese sin da quando era stato fondato nel 1978 dal predecessore di Mubarak, Anwar Sadat. L’Egitto è noto per i brogli elettorali, tanto che durante le ultime elezioni palestinesi del 2006, quando si seppe che anche l’Egitto avrebbe partecipato alla squadra di osservatori internazionali, i palestinesi iniziarono a dire che, con garanti come quelli, probabilmente alla fine avrebbero scoperto d’aver eletto Mubarak come loro presidente. Ma a differenza del 2005, le ultime “elezioni” in Egitto non hanno mantenuto più nemmeno una parvenza di realtà. Al primo turno si sono visti nomi cancellati dalle schede, osservatori lasciati fuori dai seggi, seggi anti-Mubarak chiusi all’improvviso, schede pre-votate e tanti altri imbrogli, spesso documentati con riprese video finite in tempo reale su internet. Le liste collegate ai Fratelli Musulmani, ufficialmente banditi ma che nel 2005 avevano ottenuto quasi il 20% dei 454 seggi parlamentari, decisero di boicottare il secondo turno, insieme allo storico partito laico Wafd, privando Mubarak della sua foglia di fico democratica, cosa che contribuì a mettere in moto alcune delle forze che hanno poi portato alla sua fine.La reazione del presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ansioso di puntellare la legittimità della dirigenza di Fatah, è stata quella di annunciare sabato scorso, esattamente il giorno dopo le dimissioni di Mubarak, che l’Autorità Palestinese terrà elezioni presidenziali e parlamentari non più tardi del prossimo settembre. Abu Mazen spera, a quanto pare, di far tesoro degli errori di Mubarak e di ottenere un nuovo mandato popolare.Ma è più facile a dirsi che a farsi. Hamas, che nel 2007 ha strappato con la violenza all’Autorità Palestinese il controllo sulla striscia di Gaza dopo aver vinto le elezioni parlamentari palestinesi nel 2006, ha già annunciato che boicotterà le elezioni del prossimo settembre, svuotando così di qualunque significato l’eventuale vittoria di Fatah. Secondo Nabil Kukali, direttore generale del Palestinian Center for Public Opinion, Hamas si oppone ad elezioni in questa fase perché teme di perderle, in particolare proprio nella striscia di Gaza. Secondo un sondaggio condotto da Kukali nell’estate 2010, a Gaza il 42,1% dei palestinesi appoggia Fatah contro solo il 19.8% che sarebbe a favore di Hamas. Nonostante un leggero aumento di popolarità dopo l’affare della nave turca Mavi Marmara, a quanto pare gli abitanti di Gaza sono stufi dell’estremismo militante di Hamas, che viene in parte accusato per il blocco israeliano e l’operazione Piombo Fuso. Per contro, in Cisgiordania Fatah godrebbe del 48,2% dei consensi contro il 41,3% di Hamas.Ma è tutt’atro che sicuro che le stime di Kukali siano aggiornate. Nelle ultime settimane l’Autorità Palestinese ha sofferto un calo di popolarità. Benché i “Palestine Papers” non contenessero nulla di terribilmente nuovo, quella miniera di documenti riservati sono stati faziosamente diffusi dalla tv Al-Jazeera come “prova” che la squadra negoziale palestinese avrebbe “ceduto” alle pretese israeliane riconoscendo alcuni quartieri ebraici a Gerusalemme est o mostrando una dose di flessibilità sul cosiddetto “diritto al ritorno” dei profughi palestinesi. Dunque in questo momento non è affatto certo che Fatah vincerebbe delle elezioni contro Hamas, soprattutto in Cisgiordania.Ma indipendentemente da chi dei due sia più popolare, sarebbe comunque un errore buttarsi a capofitto in nuove elezioni al più presto possibile. Fra i palestinesi, esattamente come fra gli egiziani, non sarà sufficienti indire elezioni precipitose per istituire una stabile democrazia. In Cisgiordania gli squadristi di Fatah continuano a intimidire e arrestare gli attivisti affiliati a Hamas, e Hamas fa lo stesso nella striscia di Gaza con i membri di Fatah. Né in Cisgiordania né a Gaza vige la libertà di stampa o la libertà di riunione (anche i tentativi di manifestare sull’Egitto sono stati pesantemente repressi). In entrambi i territori il sistema giudiziario è lungi dall’essere minimamente obiettivo, e il sistema scolastico continua a indottrinare all’odio contro Israele. Sia in Cisgiordania che a Gaza continua ad esistere una “società della paura”, nella quale gli elettori, quando sono chiamati a votare, possono solo scegliere da quale delle due violente fazioni pensano di essere meglio protetti (o meno angariare).Sotto il pungo di ferro di Hamas, la striscia di Gaza nel futuro prevedibile sembra una causa persa. Ma l’Autorità Palestinese guidata da Abu Mazen ha, come l’Egitto post-Mubarak, una occasione di approfondire il processo di costruzione di istituzioni democratiche e di creare quel clima autenticamente libero che, insieme, costituiscono i requisiti necessari per ogni elezioni realmente democratica.Ecco l’insegnamento che i palestinesi dovrebbero trarre dagli eventi che hanno condotto alla cacciata di Mubarak. Riuscirci significherebbe far arrivare ai palestinesi della striscia di Gaza l’inestimabile messaggio che esiste una assennata alternativa a Hamas.(Da: Jerusalem Post, 13.2,11)

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