giovedì 24 febbraio 2011


Mar Morto

"Lettera ad un amico antisionista"

martedì 22 febbraio 2011 di ELENA LATTES http://www.agenziaradicale.com/
Lo aveva già in mente da tempo, ma la scintilla che lo ha spinto a scrivere “Lettera ad un amico antisionista” sono state le conseguenze relative alla vicenda della Mavi Marmara (quella flottiglia intenzionata a rompere il blocco economico a Gaza che venne fermata dall'esercito israeliano e negli scontri morirono 9 terroristi): il solito ennesimo linciaggio politico e mediatico con il capovolgimento delle parti e tutto il resto. Così Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, motiva il suo ultimo libro alla presentazione in una sala gremita di persone provenienti da ambienti molto diversi tra loro: “Io sono contro la demonizzazione e quindi anche contro la santificazione – spiega - È necessario uscire dalla logica dell'appartenenza per cui non è detto che per difendere Israele si debba essere ebrei. È una questione semplice, ma pare che sia difficile da capire: non c'è un solo caso al mondo di scontro politico etnico o nazionale, al di fuori del conflitto arabo-israeliano, in cui un gruppo che lotta per la sua affermazione desideri, chieda e operi per la distruzione di uno Stato. Non è così per l'indipendenza dell'Irlanda del nord, né per i baschi, gli algerini, i ceceni o per altre popolazioni”. Nel sito dell'IHH, invece, l'organizzazione turca che portò i fondamentalisti islamici e i loro sostenitori vicino alle coste di Gaza, si possono trovare facilmente i testi dei negazionisti più famosi, come Faurisson, Garaudy e Irving, le dichiarazioni di Hamas nelle quali si parla della “menzogna di Auschwitz”, si invita a cancellare il “falso diario di Anna Frank per evitare che il virus sionista infetti il mondo arabo” e tanto altro ancora. Perché queste cose passano inosservate? “Si piange per i film sul genocidio durante la seconda guerra mondiale – prosegue Battista - ma nessuno ha denunciato la propaganda filonazista o gli assalti al ghetto in seguito alle tensioni internazionali, quello stesso ghetto dal quale cominciarono i rastrellamenti delle SS”. Battista, quindi, ha sentito l'esigenza di scrivere il libro sia per tentare di far uscire l'opinione pubblica da quei pregiudizi schematici secondo i quali “le vittime di ieri sono diventati i carnefici di oggi”, sia per capire dal proprio interlocutore (l'antisionista appunto), che considera essere in buona fede, “quale meccanismo lo porti a ritenere normale che l'unico Stato al mondo di cui non viene riconosciuta la legittimità è Israele e perché i torti commessi dal Sionismo vengano considerati come macchie indelebili che giustificano la negazione di un diritto, mentre tutte le atrocità ben più gravi perpetrate nel resto del mondo siano considerate un elemento non determinante per decretare la fine dello Stato che le ha commesse”. Concorde con Battista è Paolo Mieli che ricorda l'episodio della bara vuota deposta davanti alla sinagoga centrale di Roma poco prima dell'attentato in cui rimase ucciso il piccolo Stefano Taché e la successiva lettera di scuse dell'allora segretario della CGIL Luciano Lama che conteneva una gran quantità di “strafalcioni intellettuali”: “Se in un colloquio si è costretti a spiegare sempre le stesse cose ripetendo la storia degli ultimi 150 anni sia degli ebrei in Italia che della formazione dello Stato di Israele, si perde di vista l'obiettivo e non si ha più tempo per arrivare a capire l'attualità.” Così è necessario liberarsi anche, se non per questa generazione, almeno per la prossima, dal ricatto secondo cui Israele sarebbe stato fondato grazie al senso di colpa europeo provocato dalla Shoah. Bisognerebbe inoltre far notare che i palestinesi vengono sistematicamente ignorati quando non possono essere utilizzati per accusare Israele. Nessuno, infatti, ha mai manifestato contro i massacri interni o dei vicini arabi, nessuno si ricorda che prima del 1967 non ci furono mai proteste per l'occupazione giordana, nessuno denuncia gli errori e i crimini dei palestinesi stessi.
Conclude Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma: “Oggi condannare l'antisemitismo è cosa acquisita, oggi esternare il proprio odio verso gli ebrei è un fatto riprovevole che difficilmente trova consenso, ma il dramma è che quando si sostituisce la parola ebreo con la parola sionista le vicende cambiano: si può rimanere indifferenti o si pensa perfino che hanno ragione perché in fondo Israele commette tanti crimini e altro ancora. C'è un vuoto legislativo per cui la Legge Mancino non è sufficiente a combattere questa serie di pregiudizi. Ma c'è anche un difetto all'interno del mondo ebraico, il complesso di doversi sempre giustificare per dimostrare di essere uguali agli altri e di avere gli stessi diritti sia di cittadinanza che quelli di sbagliare come esseri umani. ... anche per questo il libro di Battista è importante”.

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