Napoli 1969: italiani in fuga dalla Libia; è la prima ondata di migrazioni dopo la presa del potere da parte di Gheddafi (Ansa)
Il quartiere ebraico di Tripoli in una foto degli anni Quaranta (dal blog Gli ebrei di Libia
Fuga dalla Libia, 44 anni fa l'esodo:«Tripoli nel '67, provo la stessa angoscia»
Gli ebrei italiani espulsi da Gheddafi, tracciano un parallelo tra il pogrom e l'attualità: «Avevo 18 anni,provo uguale strazio per i bimbi e la gente innocente»
ROMA - «Provo di nuovo l’angoscia di allora, di quel mese asserragliati in casa con la paura di essere uccisi da un momento all’altro …». Tripoli, 1967. La Libia caccia gli ebrei dal paese. David Meghnagi è uno di quegli ebrei che scampano al pogrom, arriva in Italia con altri otto familiari, oggi è professore di psicologia clinica all’università di Roma Tre dove dirige anche il Master sulla Shoah. Nelle immagini di queste ore dalla Libia ha rivisto quelle giornate tragiche di allora, della sua giovinezza: aveva solo 18 anni. E per un mese visse recluso in casa nell’attesa da un momento all’altro di essere ucciso.
IL DESTINO DI UN PAESE - «Angoscia certo per quel che vedo, per i bambini e la gente innocente. Tragico destino per un Paese che aveva tutto per uscire dal sottosviluppo e che oggi implode come risultato di una violenza cumulativa che ha colpito prima le minoranze indifese (prima gli ebrei derubati e fuggiti in silenzio da tutto il mondo arabo, poi gli italiani che erano rimasti dopo l’indipendenza del Paese, derubati e cacciati da un giorno all’altro) e che oggi si rovescia in modo indifferenziato». «Tutto quel giugno del 1967, che precedette la guerra arabo-israeliana, lo passammo a Tripoli con l’attesa di una catastrofe che sentivamo stava per abbattersi sulle nostre vite – ricorda oggi Meghnagi -. Se scoppiava la guerra, noi ebrei di Libia sapevamo di essere degli ostaggi, vivevamo alla giornata con grande angoscia. E poi la guerra scoppiò davvero…».
DI NUOVO AL FRONTE - «La mia famiglia era composta di otto persone, cinque figli maschi e una figlia femmina più i miei genitori – va avanti Meghnagi -. Papà gestiva una piccola agenzia per sbrigare documenti, mamma era casalinga. Durante la seconda guerra mondiale la nostra famiglia aveva perso tutti i suoi beni. Alle sofferenze patite sotto il fascismo seguirono i pogrom arabi del 1945 e del 1948». Una condizione comune ad altri in ciò che era rimasto della comunità ebraica a Tripoli, «dove eravamo ridotti a 5300 persone dalle 35-40 mila della guerra». Con la nascita di Israele la maggioranza gli ebrei emigrarono in massa in Israele con la speranza di una vita diversa. «Chi rimase visse in un lungo limbo. Nel 1967 ci ritrovammo di nuovo di fronte alla minaccia di un altro, definitivo pogrom. Per le strade giravano folle urlanti, alla radio Israele veniva dato per distrutto, riuscimmo a chiuderci in casa in un palazzotto dove per fortuna risiedevano solo ebrei. Eravamo in tutto in 52».
MINACCE AL TELEFONO - «Comunicavamo con l’esterno con estrema difficoltà - ricorda il docente di Roma Tre -, avendo un solo telefono, sul quale ricevevamo di continuo anche minacce. Ricordo quella casa di corso Giaddat Omar El Mukhtar conosciuto anche come Corso Sicilia. Siamo restati asserragliati là dentro un intero mese, non potevamo uscire».Altri ebrei come quelli dell’antico quartiere ebraico di Tripoli erano stati invece trasferiti nel campo di Grungi. «Cosa aspettavamo? Uno schiarimento, non perdevamo la speranza di potercene andare via, solo che occorrevano documenti, chi ne aveva di inglesi o italiani aveva qualche chance, noi Meghnagi non disponevamo di documenti».
SALVACONDOTTO - «Voglio ricordare che gli ebrei in Cirenaica c’erano da oltre duemila anni, c’è una città romana che si chiama Yahudia (in arabo Giudea). Gli ebrei vivevano anche all’interno del paese, molto prima delle invasioni arabe. Alla fine ci rilasciarono un visto di uscita. Le vecchie classi dirigenti, lo ripeto, ci fornirono un salvacondotto. C’era una contraddizione tra quelle classi e le nuove che stavano emergendo e che avrebbero portato al potere Gheddafi…».
CAMPI PROFUGHI A LATINA - «L’Italia ci accolse con i campi profughi di Latina e Capua – prosegue Meghnagi -. Per fortuna ci aiutarono le istituzioni ebraiche di assistenza americane (la Joint). E ci fui preziosa l’amicizia della comunità ebraica romana. Comunque bisognava arrangiarsi, Io ho fatto la guida turistica per qualche mese, ho dato lezioni private di latino che conoscevo bene, lavorato come commesso».«Intanto continuavo a studiare - ricorda il professore -. Conclusi gli esami di filosofia con sei mesi di anticipo, ma dovetti attendere per legge prima di laurearmi. Poi mi sono specializzato in sociologia a cui poi ho aggiunto una formazione psicoanalitica. Ho continuato a studiare l’arabo e ad approfondire la cultura ebraica. Anche i miei fratelli si sono arrangiati allo stesso modo. Poi mettevamo tutto insieme, siamo andati avanti così».
CONTA SOLO IL FUTURO - Quarant'anni dopo l'ex esule, di fronte alle drammatiche notizie da Tripoli, consegna una riflessione di speranza: «Mi sono lasciato alle spalle il dolore - dice Meghnagi -. Ciò che conta è il futuro, poter offrire ospitalità alle generazioni che verranno. Oggi assistiamo tragicamente a un epilogo che avrà conseguenze su tutto il Nord Africa e anche per l’Europa. Abbiamo di fronte dopo la tragedia del colonialismo l’esito fallimentare dei processi di decolonizzazione, il fallimento del rapporto tra l’Europa e i Paesi arabi, il fallimento dei regimi arabi incapaci di accettare Israele, unico Paese democratico finora dell’intera area . Eppure, se solo accettassero Israele, come sarebbe diversa la storia della regione. Unendo le loro risorse e intelligenze, arabi e israeliani potrebbero scrivere con l’Europa e l’Africa una pagina nuova della storia». Paolo Brogi 22 febbraio 2011
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