È stata una pace distorta fin dai tempi in cui venne fatta, più di trent’anni fa. La strategia “di pace” dell’Egitto, che mirava soltanto a recuperare il Sinai e ottenere un generoso sostegno americano, fu sin dall’inizio carica di ostilità e diffidenza verso Israele. A parte la non belligeranza, gli egiziani non hanno permeato il trattato di nessun elemento di pace piena e sincera con il loro ex nemico. I sentimenti popolari di ostilità verso Israele, il sionismo e il popolo ebraico sono tuttora molto diffusi fra la popolazione egiziana. Opinion maker che godono di grande popolarità, compresi intellettuali liberali, e i mass-media che finora erano strettamente controllati dalle autorità, per anni non si sono fatti il minimo scrupolo di demonizzare Israele e i suoi leader, di demonizzare il popolo ebraico con modalità antisemite, di fomentare odio per Israele in completo spregio dello spirito del trattato di pace.L’Egitto diede alla pace con Israele il significato più limitato possibile. I suoi leader e responsabili politici, da Anwar Sadat in avanti, vedevano il processo di pace con Israele principalmente come un mezzo per ridurlo alle sue “dimensioni naturali”, vale a dire alle linee pre-’67, privandolo di asset strategici.L’Egitto sotto il governo di Hosni Mubarak ha preferito rallentare il più possibile il processo di pace e la normalizzazione fra Israele e il resto del mondo arabo allo scopo di preservare la legittimità inter-araba per la sua attività diplomatica in quanto unico mediatore nella regione. Mubarak giocò un ruolo significativo del far fallire i colloqui israele-palestinesi a Camp David nel luglio 2000. Con il sostegno sia dei mass-media che del clero egiziano, avvertì Yasser Arafat che sarebbe stato considerato un traditore se avesse accettato le proposte avanzate ai colloqui, e gli negò la legittimazione di cui avrebbe avuto bisogno per prendere decisioni su Gerusalemme. In questo modo l’Egitto contribuì allo scoppio della seconda intifada, che gli garantì una sorta di guerra d’attrito contro Israele attraverso i palestinesi. Questo fu il paradigma egiziano della pace con Israele: controllo indiretto di uno scontro a bassa intensità. La combinazione della bieca realtà quotidiana interna in Egitto e della sua politica nel corso degli anni di “pace minima” con Israele rende conto di una prognosi amara circa il futuro dei rapporti fra i due paesi. Nei negoziati con l’opposizione interna sul futuro del regime, l’esercito egiziano potrebbe diventare assai più tollerante verso le tendenze islamiste, se non altro per preservare il proprio status di arbitro e di fattore stabilizzante. L’ostilità verso Israele, profondamente radicata nella coscienza egiziana e supportata da una crescente identificazione con l’islam politico, potrebbe diventare il legante fra i vari elementi dell’opposizione e l’esercito. Se la Fratellanza Musulmana sarà parte del prossimo governo, ciò potrebbe accelerare il deterioramento delle relazioni con Israele sino al punto di abrogare il trattato di pace, a dispetto delle recenti dichiarazioni dei capi delle forze armate. L’esercito egiziano, che a differenza di quello turco non è necessariamente fedele ad un ethos laico, potrebbe cambiare il suo orientamento verso il trattato di pace con Israele. I suoi programmi di addestramento considerano tuttora Israele come la principale minaccia. Lo slittamento verso un clima muscolare potrebbe procedere gradualmente, da un’energica retorica anti-israeliana ad opera dei partiti dell’opposizione legale, a pretese di cambiamento degli accordi di smilitarizzazione del Sinai presso i forum delle Nazioni Unite, fino a richieste di ispezioni delle armi nucleari che secondo l’Egitto Israele possiede. La politica di Israele verso l’Egitto, della sinistra come della destra, si è adattata nel corso degli anni ai parametri da pace fredda e distorta dettati dal regime di Mubarak, conservando anche una valutazione esagerata dell’importanza regionale dell’Egitto. Ora, con la rimozione di Mubarak, sembra arrivato il momento di aggiornare questa politica e di preparare ogni strumento diplomatico e di sicurezza a disposizione di Israele alla possibilità di sviluppi negativi sul versante meridionale.(Da: Ha’aretz, 20.02.11)
sabato 26 febbraio 2011
Se Israele diventa l’unica cosa su cui gli egiziani si trovano d’accordo
Di Dan Eldar http://www.israele.net/
È stata una pace distorta fin dai tempi in cui venne fatta, più di trent’anni fa. La strategia “di pace” dell’Egitto, che mirava soltanto a recuperare il Sinai e ottenere un generoso sostegno americano, fu sin dall’inizio carica di ostilità e diffidenza verso Israele. A parte la non belligeranza, gli egiziani non hanno permeato il trattato di nessun elemento di pace piena e sincera con il loro ex nemico. I sentimenti popolari di ostilità verso Israele, il sionismo e il popolo ebraico sono tuttora molto diffusi fra la popolazione egiziana. Opinion maker che godono di grande popolarità, compresi intellettuali liberali, e i mass-media che finora erano strettamente controllati dalle autorità, per anni non si sono fatti il minimo scrupolo di demonizzare Israele e i suoi leader, di demonizzare il popolo ebraico con modalità antisemite, di fomentare odio per Israele in completo spregio dello spirito del trattato di pace.L’Egitto diede alla pace con Israele il significato più limitato possibile. I suoi leader e responsabili politici, da Anwar Sadat in avanti, vedevano il processo di pace con Israele principalmente come un mezzo per ridurlo alle sue “dimensioni naturali”, vale a dire alle linee pre-’67, privandolo di asset strategici.L’Egitto sotto il governo di Hosni Mubarak ha preferito rallentare il più possibile il processo di pace e la normalizzazione fra Israele e il resto del mondo arabo allo scopo di preservare la legittimità inter-araba per la sua attività diplomatica in quanto unico mediatore nella regione. Mubarak giocò un ruolo significativo del far fallire i colloqui israele-palestinesi a Camp David nel luglio 2000. Con il sostegno sia dei mass-media che del clero egiziano, avvertì Yasser Arafat che sarebbe stato considerato un traditore se avesse accettato le proposte avanzate ai colloqui, e gli negò la legittimazione di cui avrebbe avuto bisogno per prendere decisioni su Gerusalemme. In questo modo l’Egitto contribuì allo scoppio della seconda intifada, che gli garantì una sorta di guerra d’attrito contro Israele attraverso i palestinesi. Questo fu il paradigma egiziano della pace con Israele: controllo indiretto di uno scontro a bassa intensità. La combinazione della bieca realtà quotidiana interna in Egitto e della sua politica nel corso degli anni di “pace minima” con Israele rende conto di una prognosi amara circa il futuro dei rapporti fra i due paesi. Nei negoziati con l’opposizione interna sul futuro del regime, l’esercito egiziano potrebbe diventare assai più tollerante verso le tendenze islamiste, se non altro per preservare il proprio status di arbitro e di fattore stabilizzante. L’ostilità verso Israele, profondamente radicata nella coscienza egiziana e supportata da una crescente identificazione con l’islam politico, potrebbe diventare il legante fra i vari elementi dell’opposizione e l’esercito. Se la Fratellanza Musulmana sarà parte del prossimo governo, ciò potrebbe accelerare il deterioramento delle relazioni con Israele sino al punto di abrogare il trattato di pace, a dispetto delle recenti dichiarazioni dei capi delle forze armate. L’esercito egiziano, che a differenza di quello turco non è necessariamente fedele ad un ethos laico, potrebbe cambiare il suo orientamento verso il trattato di pace con Israele. I suoi programmi di addestramento considerano tuttora Israele come la principale minaccia. Lo slittamento verso un clima muscolare potrebbe procedere gradualmente, da un’energica retorica anti-israeliana ad opera dei partiti dell’opposizione legale, a pretese di cambiamento degli accordi di smilitarizzazione del Sinai presso i forum delle Nazioni Unite, fino a richieste di ispezioni delle armi nucleari che secondo l’Egitto Israele possiede. La politica di Israele verso l’Egitto, della sinistra come della destra, si è adattata nel corso degli anni ai parametri da pace fredda e distorta dettati dal regime di Mubarak, conservando anche una valutazione esagerata dell’importanza regionale dell’Egitto. Ora, con la rimozione di Mubarak, sembra arrivato il momento di aggiornare questa politica e di preparare ogni strumento diplomatico e di sicurezza a disposizione di Israele alla possibilità di sviluppi negativi sul versante meridionale.(Da: Ha’aretz, 20.02.11)
È stata una pace distorta fin dai tempi in cui venne fatta, più di trent’anni fa. La strategia “di pace” dell’Egitto, che mirava soltanto a recuperare il Sinai e ottenere un generoso sostegno americano, fu sin dall’inizio carica di ostilità e diffidenza verso Israele. A parte la non belligeranza, gli egiziani non hanno permeato il trattato di nessun elemento di pace piena e sincera con il loro ex nemico. I sentimenti popolari di ostilità verso Israele, il sionismo e il popolo ebraico sono tuttora molto diffusi fra la popolazione egiziana. Opinion maker che godono di grande popolarità, compresi intellettuali liberali, e i mass-media che finora erano strettamente controllati dalle autorità, per anni non si sono fatti il minimo scrupolo di demonizzare Israele e i suoi leader, di demonizzare il popolo ebraico con modalità antisemite, di fomentare odio per Israele in completo spregio dello spirito del trattato di pace.L’Egitto diede alla pace con Israele il significato più limitato possibile. I suoi leader e responsabili politici, da Anwar Sadat in avanti, vedevano il processo di pace con Israele principalmente come un mezzo per ridurlo alle sue “dimensioni naturali”, vale a dire alle linee pre-’67, privandolo di asset strategici.L’Egitto sotto il governo di Hosni Mubarak ha preferito rallentare il più possibile il processo di pace e la normalizzazione fra Israele e il resto del mondo arabo allo scopo di preservare la legittimità inter-araba per la sua attività diplomatica in quanto unico mediatore nella regione. Mubarak giocò un ruolo significativo del far fallire i colloqui israele-palestinesi a Camp David nel luglio 2000. Con il sostegno sia dei mass-media che del clero egiziano, avvertì Yasser Arafat che sarebbe stato considerato un traditore se avesse accettato le proposte avanzate ai colloqui, e gli negò la legittimazione di cui avrebbe avuto bisogno per prendere decisioni su Gerusalemme. In questo modo l’Egitto contribuì allo scoppio della seconda intifada, che gli garantì una sorta di guerra d’attrito contro Israele attraverso i palestinesi. Questo fu il paradigma egiziano della pace con Israele: controllo indiretto di uno scontro a bassa intensità. La combinazione della bieca realtà quotidiana interna in Egitto e della sua politica nel corso degli anni di “pace minima” con Israele rende conto di una prognosi amara circa il futuro dei rapporti fra i due paesi. Nei negoziati con l’opposizione interna sul futuro del regime, l’esercito egiziano potrebbe diventare assai più tollerante verso le tendenze islamiste, se non altro per preservare il proprio status di arbitro e di fattore stabilizzante. L’ostilità verso Israele, profondamente radicata nella coscienza egiziana e supportata da una crescente identificazione con l’islam politico, potrebbe diventare il legante fra i vari elementi dell’opposizione e l’esercito. Se la Fratellanza Musulmana sarà parte del prossimo governo, ciò potrebbe accelerare il deterioramento delle relazioni con Israele sino al punto di abrogare il trattato di pace, a dispetto delle recenti dichiarazioni dei capi delle forze armate. L’esercito egiziano, che a differenza di quello turco non è necessariamente fedele ad un ethos laico, potrebbe cambiare il suo orientamento verso il trattato di pace con Israele. I suoi programmi di addestramento considerano tuttora Israele come la principale minaccia. Lo slittamento verso un clima muscolare potrebbe procedere gradualmente, da un’energica retorica anti-israeliana ad opera dei partiti dell’opposizione legale, a pretese di cambiamento degli accordi di smilitarizzazione del Sinai presso i forum delle Nazioni Unite, fino a richieste di ispezioni delle armi nucleari che secondo l’Egitto Israele possiede. La politica di Israele verso l’Egitto, della sinistra come della destra, si è adattata nel corso degli anni ai parametri da pace fredda e distorta dettati dal regime di Mubarak, conservando anche una valutazione esagerata dell’importanza regionale dell’Egitto. Ora, con la rimozione di Mubarak, sembra arrivato il momento di aggiornare questa politica e di preparare ogni strumento diplomatico e di sicurezza a disposizione di Israele alla possibilità di sviluppi negativi sul versante meridionale.(Da: Ha’aretz, 20.02.11)
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