giovedì 10 marzo 2011


Il favoloso mistero dei Finzi Contini

Esce stamane in libreria il saggio Il giardino dei Finzi Contini: una fiaba nascosta (Fernandel editore). Pagine Ebraiche di marzo attualmente in distribuzione ne anticipa un brano. Malgrado il suo vivace realismo storico e sociologico, il giardino dei Finzi-Contini è pervaso da una grande poeticità legata all’uso di un discorso allegorico e simbolico che introduce il lettore in un universo prossimo, molto spesso, a quello fiabesco. Già all’inizio della sua carriera Bassani aveva pubblicato un racconto, uscito nel Corriere padano, che alludeva alle “alte mura di un giardino” che, isolando i suoi abitanti in un luogo e una temporalità altra, creavano un microcosmo meraviglioso, estraneo alla quotidianità sociale e storica. In quel racconto del 1936, Bassani evocava perfino il carattere magico del discorso fiabesco, ossia della “fiaba ascoltata ad occhi sbarrati con attenzione”, atta ad immergere l’individuo (qui bambini deliziosamente prigionieri del loro giardino) in una dimensione magica, incantata: quella del “mistero” e della “fiaba”, come precisava l’autore stesso. Un anno dopo, nel 1937, tornava nei suoi racconti, come un leitmotiv, il tema del giardino incantato, “lungo il viale amico dei tigli”, che aveva il potere prodigioso di far rinascere “una catena di epoche lontane, dolci, perdute”. All’universo della fiaba, però, Bassani non si riferiva esplicitamente, anche se intitolò proprio Due fiabe due brevi racconti della raccolta L’odore del fieno. Vi era comunque indirettamente legato: infatti il genere fiabesco si era sviluppato all’inizio del XIX secolo sulla base della filosofia idealista, il cui rappresentante italiano più noto fu, qualche decennio più tardi, Benedetto Croce, guida intellettuale dello stesso Bassani. Il grande filosofo napoletano non esitava ad affermare che il Cunto de li cunti, prima raccolta di fiabe europee (1634 1636) scritte da Giambattista Basile, al quale gli stessi fratelli Grimm si erano ispirati e che Croce stesso aveva tradotto dal dialetto napoletano, era uno dei più bei libri della letteratura italiana. Ora, se si considera attentamente il romanzo bassaniano, si nota che esso mette essenzialmente in scena l’iniziazione alla vita di un giovane prossimo all’età adulta, immerso in un giardino incantato e magico, popolato da individui eccezionali, con diverse prove da affrontare e superare per maturare e diventare adulto. Privo di nome come ogni eroe fiabesco, il protagonista bassaniano si trova al centro di una vicenda strutturata secondo il modello tradizionale della fiaba. Sorprendentemente, la morfologia del racconto bassaniano adotta la struttura presentata da Propp (Vladimir Propp, antropologo e linguista russo, ndr): a guardar bene, non manca l’incipit tipicamente fiabesco, presente nel Prologo, né manca la nascita di una crisi necessaria all’inizio delle peripezie dell’eroe che, penetrato in un aldilà sopramondano, incontra aiutanti e antagonisti che lo accompagnano nella sua iniziazione attraverso vicende insieme incantevoli e dolorose. L’itinerario esistenziale del protagonista del Giardino sembra perciò direttamente legato ai presupposti tematici della fiaba e al modello del viaggio iniziatico che essa sottintende: leggendo le pagine bassaniane, appaiono centrali le idee di una battaglia accanita contro nemici multipli e di una conquista identitaria ottenuta dopo un abbandono volontario dei modelli sociali e dei riferimenti familiari, proprio come nelle fiabe. Si tratta inoltre di un viaggio iniziatico che avviene negli spazi fiabeschi più flagranti. Il lettore segue infatti l’eroe in luoghi misteriosi ed enigmatici noti ai lettori di fiabe, carichi di simbolismo, nei quali gli è rivelata, di volta in volta,una parte della verità: il mondo sotterraneo, plutonico, la foresta incantata, il castello isolato dotato di un ideale labirinto e di una simbolica torre, centro nevralgico della casa fatata che nasconde segreti e rivelazioni arcane. Nella stessa logica, Micòl e suo padre appaiono come l’incarnazione perfetta del re e della principessa, o anche dello stregone e della fata. Abitanti di un universo incantato dalla dimensione mai solo referenziale ma in permanenza metaforica, offrono all’eroe gli strumenti necessari alla scoperta delle numerose verità che gli sono progressivamente divulgate sulla vita, l’amore, la morte, l’arte. Il fascino fiabesco delle pagine bassaniane sembra anche nascere dall’impostazione accurata di uno scenario caratterizzato da un’atemporalità sistematica quando si è nel giardino, assecondata dalla creazione di uno spazio fatato nel quale i minimi dettagli rinviano a un mondo straordinario e stregato. Il linguaggio stesso di Bassani, la fraseologia usata dall’autore, che è un poeta anzitutto, favorisce la narrazione di un universo in cui il meraviglioso si mescola con il fantastico: aleggia un’atmosfera in cui i personaggi sembrano incantati e gli oggetti più ordinari paiono assumere un valore soprannaturale. Certi episodi del romanzo offrono perfino una dimensione onirica e talvolta surreale che immerge il lettore in una realtà del tutto insolita, priva di riferimenti con il mondo ordinario. Alla fine del racconto però, l’eroe non sposa la principessa, che lo respinge e che muore; egli abbandona definitivamente il giardino incantato. Manca allora il “lieto fine”, elemento paradigmatico della fiaba popolare. Perché non si tratta ovviamente di una fiaba tradizionale. A meno che si tratti di una fiaba nascosta, o di una fiaba “moderna”, senza happy end - appunto come in Andersen o Saint-Exupéry - in cui l’eroe riesce, attraverso il dolore, a conquistare la maturità e la saggezza, come era il caso del resto delle prime fiabe, che si rivolgevano anzitutto agli adulti e non finivano sistematicamente bene. Sophie Nezri-Dufour http://www.moked.it/

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