giovedì 10 marzo 2011


Il governo della ragione

La prossima pubblicazione della seconda e ultima parte della biografia di Gesù, scritta da papa Benedetto XVI, nella quale vengono trattate le pagine evangeliche relative al processo, alla passione e alla morte del nazareno - tradizionalmente addotte a fondamento di una sorta di responsabilità collettiva, eterna e ineliminabile, dell’intero popolo ebraico, in ogni luogo e in ogni tempo (“attraverso tutte le generazione, fino alla consumazione dei secoli”, come scrisse Origene), per il cosiddetto ‘deicidio’ -, suggeriscono diverse considerazioni. Com’è evidente, l’idea che un intero popolo possa essere globalmente ed eternamente ritenuto responsabile di qualcosa avvenuto in un lontano passato rappresenta, di per sé, un totale oscuramento di qualsiasi forma di logica e razionalità umana. Anche un bambino di pochi anni, non plagiato da insegnamenti malati, capirebbe l’assurdità di un simile assunto. Ma, com’è noto, proprio tale obnubilamento, tale “sospensione della ragione” ha segnato, per diciassette secoli, la storia dell’umanità. Eliminare la colpa “metastorica” del deicidio non significa, pertanto, reinterpretare la storia, in un modo più corretto e conforme alla verità, ma semplicemente ripristinare il governo della ragione sul trionfo dell’irrazionalità. La dichiarazione conciliare Nostra Aetate, nel 1965, compì un significativo passo in tale direzione, asserendo ufficialmente che la responsabilità storica della morte di Gesù non può essere addebitata “né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né, tanto meno, agli ebrei del nostro tempo”. Una svolta storica, di fondamentale importanza, che, tuttavia non fece altro che aprire nuovamente le porte, dopo quasi due millenni, alla ragione umana. Ciò dovrebbe essere motivo di riflessione: com’è possibile che gli augusti padri conciliari abbiano scritto questa pagina memorabile, semplicemente dicendo una cosa che capirebbe anche un bambino? Ma, ovviamente, l’idea malata del deicidio non si collocava sul piano della logica e della ragione, ma su quello “meta-logico” e “meta-razionale” della fede. Dire che la fede vada necessariamente contro logica e ragione sarebbe, certamente, una forzatura. Ma è un dato di fatto che può farlo, che lo ha fatto. Nel tornare sul tema, papa Ratzinger va, però, ancora al di là dell’enunciato conciliare, in quanto nega la fondatezza dell’idea di deicidio non soltanto sul piano della razionalità umana, ma proprio sul peculiare (“meta-logico”, “meta-razionale”) terreno della fede. Sarebbe la stessa lettura dei vangeli, infatti, a escludere ogni idea di colpevolizzazione collettiva ed eterna, in quanto le frasi in essi contenute (soprattutto la famosa “il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”) non andrebbero lette in senso di maledizione, ma di “redenzione, salvezza”, come richiamo alla “forza purificatrice dell’amore”. Non è il caso, ovviamente, di addentrasi a giudicare la fondatezza dell’esegesi del Pontefice: è evidente che essa, in ragione della particolare autorevolezza della sua provenienza, non rappresenta soltanto un’opinione di scuola, ma è destinata a fungere da fermo ed durevole indirizzo ai fini di un’interpretazione attualizzante del messaggio evangelico da parte dell’intera comunità cristiana, innanzitutto riguardo al delicato rapporto col popolo ebraico, di ieri e di oggi. Quanto alla questione, che è stata evocata, di un dovuto ‘ringraziamento’ al pontefice (“non è che ogni volta dobbiamo ringraziare, dopo aver patito per duemila anni una mostruosità teologica...”, ha giustamente commentato rav Riccardo Di Segni), non se ne vede ragione. Mettiamo che uno scolaro, ogni giorno, per anni e anni, venga pubblicamente punito in classe, perché si crede che un suo antenato, in tempi remoti, aveva danneggiato la scuola, finché il preside annuncia che l’antenato, in realtà, non aveva fatto niente, per cui la punizione viene revocata. Deve ringraziare lo scolaro, o deve scusarsi il preside? Ma, al di là della questione ‘formale’ del ringraziamento, non c’è dubbio che le parole del pontefice - che appaiono mosse da un sincero spirito di amicizia e riconciliazione - risultino meritevoli di grande apprezzamento, e rappresentino, in tempi densi di difficoltà, un concreto motivo di speranza.Francesco Lucrezi, storico http://www.moked.it/

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