lunedì 21 marzo 2011


Viva la parodia

Non si può vivere di solo umorismo yiddish, di barzellette sugli ebrei s’è scritto (forse) troppo. Ci siamo dimenticati di un genere di scrittura, la parodia, dove la cultura ebraica ha lasciato maestri insigni. La parodia impone un discorso sul concetto di imitazione. Un asino che raglia non suscita l’attenzione di nessuno, nemmeno degli altri asini. Un leone che imita un asino che raglia fa problema, perché gli altri leoni non sono disposti a perdonarlo. Gli ebrei posseggono il genio dell’imitazione, scriveva Ahad Ha-Am: è nota la definizione di uomo come “animale mimetico” data da Disraeli. In Italia basti fare il nome di Franca Valeri. La verità non si può imitare, dice Mendel di Kotzk nei Racconti dei Chassidim di Martin Buber, tutto il resto sì. I romanzi di Philip Roth e tanto cinema americano sono pieni di ragazzi costretti da genitori assillanti a imitare la voce della zia Rachele o di nonno Moshe. È però sulla letteratura che dobbiamo riflettere. Non inganni il fatto che oggi in Italia si imitino, purtroppo, soltanto i politici e non gli scrittori. Non è un segnale incoraggiante. La parodia è invece un riconoscimento della poesia. Uno scrittore non è uno scrittore se non possiede un proprio abbecedario d’immagini. Il parodista si appropria di questo cifrario e lo imita. Lo stile è come il carattere. Talvolta l’imitazione serve all’imitato e lo fa crescere, come scrisse Max Libermann a proposito di Robert Neumann: una parodia deve essere più spontanea dell’originale. I Promessi sposi di Guido Da Verona, l’Antologia apocrifa di Paolo Vita Finzi hanno avuto vita lunghissima e migliaia di lettori. Guido Almansi e Guido Fink raccolsero il testimone e sempre da Bompiani pubblicarono Quasi come, esempio di parodistica comparata. La profondità della parodia è data dalla contiguità con due problemi interpretativi centrali nell’ebraismo: da un lato la questione dell’imitazione di Dio (Lev. 11,44), dall’altro il problema del divieto di farsi immagine. Non ci si fa immagine di nessuno, ma con la parola si può fare quello che con il pennello è proibito fare. Alberto Cavaglion, Pagine Ebraiche, marzo 2011
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