giovedì 28 aprile 2011



Nuovo sabotaggio al gasdotto per Israele
Minaccia: attentato nel Sinai. Sondaggio in Egitto: cancellare il trattato di pace con Gerusalemme.
Israele sente stringere una morsa pericolosa intorno a sé. Le rivolte arabe stanno mettendo in crisi l'equilibrio esistente. La fine dei regimi autocratici non corrisponde a un miglioramento delle relazioni. La caduta di Mubarak, infatti, ha coinciso con il ritorno dei Fratelli Musulmani sulla scena politica egiziana e con la conseguente recrudescenza dei sentimenti anti israeliani. Il nuovo quadro è confermato da un sondaggio tra la popolazione egiziana condotto dal Pew Research Center, centro di ricerca con sede negli Stati Uniti: il 54% degli egiziani è favorevole alla fine del trattato di pace con Israele. La ricerca ha mostrato la tradizionale freddezza degli egiziani anche nei confronti degli Usa: infatti, solo il 15 per cento vorrebbe relazioni più strette con Washington, a fronte di un 43 per cento che chiede maggiore distanza. Da giorni su Facebook e sui social network si inseguono slogan che riprendono quelli scanditi durante la rivoluzione di gennaio, come «il popolo vuole l'annullamento dell'accordo di pace con Israele». Ieri centinaia di persone hanno manifestato davanti all'ambasciata d'Israele a Il Cairo per chiedere la fine del trattato di pace e «la liberazione» di Gerusalemme est. A confermare la rinnovata ostilità verso Israele, ieri, un nuovo attentato ha sabotato il gasdotto che trasporta gas naturale dall'Egitto verso Israele, Giordania e Siria. Per la seconda volta in due mesi un attentato ha bloccato il flusso dal gasdotto nei pressi di El Arish nel Sinai. Ci vorranno tre settimane per rimettere in sesto la struttura, ha spiegato il governatore del Sinai del Nord, Abdel Wahab Mabrouk, secondo il quale i cinque uomini che in nottata hanno piazzato le cariche esplosive per farle saltare a distanza erano addestrati per atti di sabotaggio. Israele e Siria hanno fatto sapere che il blocco della fornitura di gas non avrà ripercussioni sull'erogazione dell'energia elettrica, perché le loro centrali verranno alimentate con altri combustibili. Ma il secondo attacco in pochi mesi ha fatto dire al ministro delle Infrastrutture israeliano, Uzi Landau, che questa è la prova che Israele deve trovare alternative al gas egiziano. L'esportazione di gas verso Israele è diventata oggetto in Egitto d'una campagna politica e ora anche giudiziaria: l'accusa espressa più volte durante la rivoluzione che ha deposto Hosni Mubarak l'11 febbraio è che il passato regime abbia venduto il gas sottocosto rispetto al prezzo di mercato. L'accusa è diventata la base di un'inchiesta della magistratura che ha portato all'arresto la scorsa settimana dell'ex ministro del petrolio, Sahem Fahmi, e al coinvolgimento nell'inchiesta dei due figli di Mubarak. La rivolta in Siria che rischia di sfociare in una guerra civile come in Libia è l'altro fronte che non fa dormire sonni tranquilli al governo Netanyahu. Lo stato di allerta non è stato annullato. All'orizzonte non si vedono alternative a Bashar Assad se non i gruppi islamisti, meglio organizzati delle opposizioni laiciste. Non solo. Damasco ha fin qui protetto e finanziato le milizie palestinesi, ma ne ha anche controllato la loro operatività. La caduta di Bashar Assad potrebbe coincidere con la presa di potere dei Fratelli Musulmani: nonostante la dura repressione del regime alawita, sono sempre molto potenti in Siria. Tel Aviv verrebbe così assediata a Nord e a Sud dei suoi confini da due regimi islamisti i cui esponenti non hanno mai nascosto la loro avversione per lo Stato d'Israele. La crisi siriana mette a rischio anche il Libano che pur tra tante difficoltà resta per ora escluso dai movimenti di protesta che agitano il mondo arabo. Maurizio Piccirilli 28/04/2011http://www.iltempo.it/

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