mercoledì 6 aprile 2011


Per capire la paura di Israele basta contare i missili puntati

Le rivolte arabe stanno creando un nuovo ordine ancora più ostile a Gerusalemme. E gli attacchi aumentano E’ impossibile prevedere che cosa cambierà per Israele, strozzato in mezzo allo straordinario movimento rivoluzionario che investe il medio oriente. Un buon metro di giudizio è sempre stato contare il numero di missili puntati verso lo stato ebraico. Il potere di morte nella regione è salito drammaticamente. Da Gaza è stato appena lanciato un missile iraniano a dieci chilometri da Tel Aviv. Non arrivavano così vicino dal 1991, quando a lanciarli era Saddam Hussein. Da Gaza fino a tre anni fa i terroristi riuscivano al massimo a colpire Sderot, ad appena tre chilometri dalla Striscia. Poi sono arrivati ad Ashkelon (20 km), Beersheba (40 km), Ashdod (31 km), Rehovot (42) e adesso Rishon Lezion (58 km). La prossima sarà Tel Aviv (68 km). E Gerusalemme (74 km). Da nord Hezbollah è più letale di Hamas. E’ notizia di ieri che i terroristi libanesi hanno a disposizione 550 bunker e 40 mila missili. In pratica tutto il territorio d’Israele è a tiro dei missili islamisti. La nuova ondata di cannoneggiamenti, la più intensa dalla fine dell’operazione “Piombo Fuso” a Gaza, giunge a meno di una settimana dal raid con cui un commando israeliano ha intercettato la nave Victoria. Portava dall’Iran un letale carico di obici da mortaio, sistemi radar e missili antinave. La bomba a Gerusalemme vicino all’autobus numero 74 e prima ancora la strage della famiglia a Itamar sono state un ritorno drammatico al terrorismo islamista che ha fatto duemila morti nella Seconda Intifada. Nell’intelligence israeliana si sussurra che l’Iran attenda soltanto l’ordine dell’ayatollah Ali Khamenei per annunciare l’atomica. E sui media israeliani si inizia a parlare di “perdita della deterrenza” da parte di Gerusalemme. Fino alla caduta di Hosni Mubarak in Egitto, le minacce a Israele coincidevano con quelle ai regimi arabi: Iran e islam politico. Con la caduta di questi regimi sono in discussione tre decenni di calma relativa fra vicini. Come ha detto l’esperto di medio oriente Walid Phares, “Israele sarà scosso da questo moto in maniera estremamente positiva o estremamente negativa”. Dipende da che cosa uscirà dal vaso di Pandora delle rivolte. I segnali non sono incoraggianti. “Dimenticatevi della democrazia, Israele vuole un medio oriente governato dai generali”, ha scritto il maggiore quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth. Purtroppo la storia ha dimostrato che ciò che vogliono i popoli arabi non coincide spesso con ciò che è bene per Israele. Il medio oriente di oggi è come l’Iran del 1979 e i territori palestinesi del 2006: molte parole su liberalismo e democrazia e nei fatti anarchia, morte e islamismo. Purtroppo l’islam politico si è rivelato l’unica alternativa ai dispotismi e ora si parla di “square-ocracy”: autocrazia della piazza araba. In Egitto, dove si è visto che non erano solo fiori e Facebook, un alleato di ferro ha lasciato il passo a una transizione dominata dai Fratelli musulmani, madrina dell’alveo islamico antisemita globale, incluso Hamas. L’attuale ministro degli Esteri del Cairo, Nabil el Araby, fu quello che a Camp David criticò Sadat per il trattato di pace con Gerusalemme. Oggi è il suo momento. A nord Hezbollah domina il Libano e la Turchia post kemalista ha stretto rapporti senza precedenti con la Siria. Le visite reciproche fra il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, e il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, sono molteplici, i trattati aumentano e il sostegno di Ankara a Teheran contro le sanzioni dell’occidente è evidente quanto l’incitamento contro Israele. Per la prima volta da “Settembre Nero” trema il regno di Giordania, che ha richiamato al potere noti personaggi antisraeliani come Khaled al Karaki. In Siria lo spettro di Hama, la roccaforte islamica distrutta dal padre di Bashar el Assad, Hafez, nel 1982, scuote il potere baathista e il Golan, strategico per la sicurezza israeliana. Le voci di una riunificazione fra Hamas e Fatah lasciano prefigurare, nella peggiore delle ipotesi, che il confine più stretto e fragile di Israele, i nove chilometri che separano Netanya e Qalqilia, possa finire nelle mani dei tagliagole. C’è un detto arabo che sta a significare come Netanya sia la gola sottile e più esposta di Israele: “Quando vi impiccheremo, vi impiccheremo per Netanya”.4 aprile 2011 http://www.ilfoglio.it/

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