domenica 10 aprile 2011


Tempio italiano a Gerusalemme

Principio e pratica Martedì 19 aprile, primo giorno di Pesach, sarà l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze pasquali. Per le mie classi che vanno all’esame ci sono giri di interrogazioni da completare e naturalmente tutti vogliono passare il più tardi possibile: la mia prevista assenza nell’ultimo giorno utile non è stata quindi facile da digerire per gli allievi, ma quando ho spiegato che si trattava per me di una festività religiosa molto importante ho incontrato una comprensione e un rispetto inaspettati. E’ vero che per guadagnarmi questa comprensione e questo rispetto mi sono dichiarata disponibile a soluzioni alternative, come entrate anticipate o uscite posticipate (cosa non propriamente allettante nei giorni immediatamente precedenti a Pesach), d’altra parte proprio questa mia disponibilità è stata probabilmente percepita come una dimostrazione della serietà delle mie esigenze. Non so fino a che punto si possa generalizzare la mia esperienza specifica, ma ho l’impressione che in Italia sia abbastanza facile trovare rispetto per le proprie esigenze pratiche, cercando soluzioni giorno per giorno ai problemi che si presentano. Viceversa le questioni di principio facilmente non vengono capite, anzi, spesso destano reazioni sproporzionate. Mi è capitato molto spesso di leggere e sentire da parte degli allievi difese appassionate del crocifisso in classe, eppure fortunatamente nelle scuole in cui ho lavorato finora il crocifisso in classe non c’era: ai ragazzi dava fastidio che venisse messo in discussione quello che ritenevano un loro diritto, o, meglio, dava fastidio l’idea che una minoranza potesse in qualche modo mettere in discussione l’identità della maggioranza; una volta salvato il principio, però, di cosa succedesse in pratica non si preoccupavano troppo. Allo stesso modo ho l’impressione che in una discussione teorica sulle minoranze religiose in Italia i miei allievi sarebbero stati molto meno disponibili ad accettare in linea di principio il diritto di ciascuno di stare a casa nei propri giorni festivi. Sembra dunque che a volte convenga non rinunciare ai principi, ma arrivarci partendo dai singoli casi concreti e non viceversa; in fondo è l’approccio abituale nella cultura ebraica. Anna Segre, insegnante, http://www.moked.it/

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