venerdì 15 aprile 2011


Una cartolina per Shalit La disumana crudeltà della prigionia di Gilad Shalit, che dura ormai da quasi cinque, lunghissimi anni, nel totale disprezzo di ogni forma di umanità e di morale, di qualsivoglia tipo di diritto (penale, militare, internazionale, di pace, di guerra o di altro tipo) l’uomo sia mai stato capace di inventare, sia pure nelle più estreme condizioni di brutalità e sopraffazione, è – o dovrebbe essere – una spina nel fianco di qualsiasi spirito civile, qualcosa che dovrebbe levare il sonno a chiunque abbia in sé un minimo di coscienza. E’ evidente che, dal punto di vista dei terroristi sequestratori, la vita del giovane soldato rappresenta una merce preziosa, e non soltanto per la prospettiva della gigantesca contropartita richiesta nello scambio, che assicurerebbe loro uno straordinario successo politico, militare e di immagine nel confronto contro Israele, ma anche per l’evidente obiettivo (da considerare, in ogni caso, pienamente raggiunto) di alzare sempre più il muro di ostilità e incomunicabilità tra il popolo israeliano e quello palestinese. Tutti i palestinesi, secondo Hamas, devono tenere presente che non c’è alcuna alternativa al linguaggio della forza e della violenza, e tutti gli israeliani - anche quelli che continuano, tra mille difficoltà, a organizzare iniziative umanitarie a favore della popolazione civile di Gaza - devono sapere che, al di là della frontiera, per loro non ci sono che irriducibili nemici. Chi critica il cosiddetto ‘muro’ difensivo di Israele, finge di non vedere il gigantesco muro di odio eretto da Hamas: coloro che continuano a invocare l’agognata pace tra Israele e Palestina, e a lamentare lo stallo nei colloqui bilaterali, come se Hamas non esistesse, che ruolo immaginano, nel futuro Medio Oriente ‘pacificato’, per i carcerieri di Shalit? Abbiamo già avuto modo di annotare (nel Pilpul del 3 febbraio 2010), di fronte al dilemma posto dalla trattativa, che la ragione e il cuore sembrerebbero suggerire opzioni diverse. Se il governo israeliano è chiamato all’arduo compito di conciliare entrambe le cose, il comune cittadino può, però, fare sentire la sua semplice voce, dare una piccola, importante manifestazione di solidarietà. Per farlo, può essere sufficiente inviare una cartolina a Gilad Shalit, in cui gli si augura, semplicemente, di tornare presto a casa. Natan Sharansky, attualmente Presidente della Jewish Agency (e, com’è noto, per lunghi anni prigioniero, in quanto dissidente, nelle carceri sovietiche), nel corso di una pubblica manifestazione organizzata a Tel Aviv lo scorso 10 dicembre, ha sottolineato come tale piccolo gesto possa essere importante: anche se, naturalmente, Shalit non riceverà mai i messaggi, molti, in Italia, in Israele e a Gaza, sapranno che il giovane prigioniero non è stato dimenticato, non lo sarà mai. Un gesto ingenuo, probabilmente, e certamente non risolutivo (si potrebbe temere, addirittura, che la persistente attenzione internazionale possa contribuire a mantenere alto il “prezzo di scambio”). Ma è un gesto, in ogni caso, che ci eviterà di andare a dormire, la sera, come se niente fosse, come se non esistesse, in un certa località, un ragazzo innocente, sigillato - da ormai un quinto della sua vita - in una stanza. E i suoi sequestratori, forse, capiranno che, almeno su di un piano, hanno sbagliato i loro calcoli, contribuendo a rendere ancora più forte, in tutti gli amici di Israele, il sentimento di solidarietà e appartenenza. Scriviamo, dunque. L’indirizzo? Gilad Shalit, Military Prison, Gaza City, Palestinian Territory (Israel) Francesco Lucrezi, storico http://www.moked.it/

Nessun commento: