mercoledì 11 maggio 2011



Yom—Azmaut
Ogni Stato stabilisce le sue feste nazionali e Israele ha stabilito il 5 di Iyar come Giorno dell’Indipendenza, così come l’Italia ha fissato come giorni festivi il 25 aprile e il 2 giugno, feste della liberazione e della repubblica. La festa della liberazione e quella dell’Indipendenza cadono sempre nello stesso periodo dell’anno e hanno in comune elementi simili, ma sono tra loro profondamente diverse. Uno degli aspetti che fanno la differenza tra questi due giorni è il fatto che Yom ‘Azmaùt viene festeggiato tanto in Israele (cosa del tutto naturale) quanto nei paesi della Diaspora. E’ questo un fatto anomalo: infatti è come se gli americani di origine italiana, oltre a festeggiare il 4 Luglio, volessero celebrare anche il 2 giugno e il 25 aprile, un giorno quest’ultimo che ha certo segnato una svolta, ma solo per gli italiani che vivevano in Italia durante il Fascismo o che vi hanno fatto ritorno dopo essere andati in esilio. Questa dicotomia dell’ebreo che afferma di essere interamente italiano, ma anche completamente ebreo, ha dato adito in passato all’accusa della doppia lealtà ebraica. La diversità del modo con cui gli ebrei – ovunque essi si trovino – hanno vissuto e vivono gli eventi impone una domanda: Yom ‘Azmaùt è una festa “nazionale”, “laica” o “religiosa”? Anche se l’esperienza ebraica non può essere limitata a un fatto meramente “religioso” o “nazionale”, non si può negare che nel mondo moderno, e in quello occidentale in particolare in cui la “fede” nazionale è così labile, festeggiare, e per di più “religiosamente”, una festa “nazionale” di un altro Stato è un fatto estremamente contraddittorio. Qual è quindi il significato che l’ebreo contemporaneo e le generazioni future dovranno dare a questa giornata? La redenzione delle ossa secche Per capire appieno l’importanza di questa festa dobbiamo però fare ancora un passo. La vita ebraica si è svolta tra due poli: quello della Diaspora Golà = גולה e quello della Redenzione Gheullà = גאולה La differenza tra le due parole sta solo nell’aggiunta di una אÀlef, che è la prima lettera di El-okìm (Dio), perché l’unità sta fuori dal mondo della dualità, rappresentata dalla lettera בbet con cui comincia la Torà. La אàlef è anche quella lettera che ha trasformato le ‘ עצמות Atzamòt, (le ossa secche della visione di Ezechiele), in ‘Atzmaùt עצמאות Quando “la speranza era persa”– avdà tikvatenu, proprio così dicevano le ossa secche di Ezechiele – lo Spirito ha soffiato nelle ossa e queste ossa sono tornate a rivivere, trasformando la golà in gheullà e le ‘atzamòt in ‘atzmaùt. Secondo la definizione che noi troviamo nella preghiera per “la pace dello Stato”, Yom ‘Atzmaùt è “l’inizio della fioritura della nostra redenzione”, inizio che dovrà portare al cambiamento vero e proprio e che tuttora è in corso. E, come per ogni inizio che deve essere sottolineato, bene ha fatto a nostro
parere rav Maimon, tra i firmatari della carta d’indipendenza, a pronunciare la benedizione per le cose nuove. Così fin dall’inizio della fondazione Yom ‘Atzmaùt ha assunto un significato in cui è difficile distinguere il momento “laico” da quello “religioso”. La partecipazione degli ebrei della Diaspora rappresenta quindi un momento di sintesi religiosa, che come tale viene intesa, magari solo sul piano dell’inconscio, anche dai “laici”. Yom ‘Atzmaut rappresenta dunque un punto di incontro del destino del popolo ebraico, dove la storia incrocia lo spirito, l’immanente il trascendente, e il “tempo delle lacrime”, “il tempo delle risa”. Rav Scialom Bahbout Sullam n.71

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