La scorsa settimana è emersa una storia edificante, una goccia nel mare dei rapporti perennemente molto tesi tra il mondo islamico e Israele. Una ginecologa iraniana si è rivolta via e-mail a un collega israeliano per chiedergli un parere. Lei si è firmata soltanto “N.N.” per motivi di sicurezza, lui è l’esperto di gravidanze a rischio Adi Weissbuch del Kaplan Medical Center di Rehovot. Una paziente di “N.N.” era incinta da sedici settimane di un figlio con una rara malattia genetica. In Iran vige la sharia, la legge islamica, che vieta l’aborto dopo la diciottesima settimana di gravidanza. La ginecologa iraniana, indecisa sul da farsi, ha contattato Weissbuch, del quale in precedenza aveva letto un esauriente articolo proprio sulle gravidanze a rischio a causa di malattie genetiche del nascituro.Il responso del medico israeliano è stato chiarissimo: sacrificare immediatamente la vita del bambino, per non mettere a rischio quella della madre, che avrebbe corso pericolo se ella avesse dato alla luce il piccolo.La donna è stata salvata. «Per me», ha detto il Dott. Weissbuch, «un paziente può essere di qualsiasi religione o nazionalità. Noi vogliamo solo fornire il giusto trattamento. Tutta la corrispondenza portava una intestazione col mio nome e la dicitura Stato d'Israele: mi è bastato questo». Evidentemente la sua collega iraniana la pensa allo stesso modo e il fatto che egli provenga dallo Stato nemico per eccellenza della Repubblica Islamica non ha rappresentato un ostacolo di fronte al salvataggio di una vita umana.Un bell’articolo di Fiamma Nirenstein per il Giornale ricorda anche che migliaia di arabi sono stati guariti dalla medicina israeliana. Come la piccola Elham Fathi Hammad, 3 anni, figlia niente meno che del Ministro degli Interni del governo di Hamas. In piena Intifada, mentre l’organizzazione a cui suo padre appartiene uccideva civili israeliani, Elham aveva subìto ad Amman un’operazione fallita al cuore. Portata poi in gravi condizioni all’ospedale Barzilazi di Ashkelon, la bimba è stata salvata.Nel giugno 2010 una cellula terroristica di Hamas ha compiuto un attentato con armi automatiche costato la vita all’agente di polizia Shukri Sofer, tra l’altro prossimo al matrimonio. Un paio di mesi prima uno degli appartenenti alla cellula era stato segnalato come caso umanitario perché sua figlia, 6 anni appena, aveva un tumore ad un occhio. Grazie ai fondi di un’organizzazione no-profit israeliana la bambina è stata ricoverata presso il celebre ospedale Hadassah Ein Kerem di Gerusalemme e ha subito un intervento chirurgico perfettamente riuscito. In tale struttura esercitano insieme medici arabi ed israeliani. Arrestato successivamente il terrorista di Hamas ha dichiarato di essere stato tutto il tempo al capezzale della figlia malata: invece progettava l’attentato.Nel marzo di quest’anno una giovane madre e la sua neonata, palestinesi, sono state salvate dalle Forze di Difesa e da paramedici israeliani nell’insediamento di Neve Tzuf. Un taxista palestinese aveva trasportato lì la ragazza, poco più che ventenne, il cui cordone ombelicale era attorcigliato al collo della bambina appena partorita, che rischiava di soffocare. Il giovanissimo paramedico militare israeliano Haim Levin, 19 anni, ha rimosso il cordone dal collo della bimba palestinese, ormai grigia e immobile, e chiesto ai suoi collaboratori di preparare un kit di rianimazione per neonati. «Ho pizzicato la piccola per vedere se reagiva e lei ha iniziato a strillare», ha raccontato in seguito Haim Levin."Era stata curata in un ospedale israeliano anche l’aspirante terrorista, per nulla affatto pentita, Wafa Al- Biss, una dei palestinesi in carcere rilasciati da Israele in cambio del caporale Gilad Shalit. Wafa, studentessa di Sociologia, era stata ricoverata nel 2005 al Soroka di Beer Sheva, nel Negev, con gravissime ustioni dovute all’esplosione accidentale di una bombola di gas nella sua casa. Sei mesi dopo la al-Biss sarebbe stata arrestata per aver cercato di farsi saltare in aria all’ingresso dello stesso ospedale. «Da noi era stata curata con dedizione, accudita giorno e notte», aveva dichiarato allora il direttore dell'ospedale, dottor Eitan Hay-Am. Oggi Wafa, al suo ritorno a Gaza da donna libera, ha voluto attorno a sé tanti bambini: per chiedere loro di diventare “martiri”, come a lei non è stato possibile fare." http://www.legnostorto.com/ 15 .11.2011di A. Boga
mercoledì 16 novembre 2011
Migliaia di islamici salvati dalla medicina israeliana
La scorsa settimana è emersa una storia edificante, una goccia nel mare dei rapporti perennemente molto tesi tra il mondo islamico e Israele. Una ginecologa iraniana si è rivolta via e-mail a un collega israeliano per chiedergli un parere. Lei si è firmata soltanto “N.N.” per motivi di sicurezza, lui è l’esperto di gravidanze a rischio Adi Weissbuch del Kaplan Medical Center di Rehovot. Una paziente di “N.N.” era incinta da sedici settimane di un figlio con una rara malattia genetica. In Iran vige la sharia, la legge islamica, che vieta l’aborto dopo la diciottesima settimana di gravidanza. La ginecologa iraniana, indecisa sul da farsi, ha contattato Weissbuch, del quale in precedenza aveva letto un esauriente articolo proprio sulle gravidanze a rischio a causa di malattie genetiche del nascituro.Il responso del medico israeliano è stato chiarissimo: sacrificare immediatamente la vita del bambino, per non mettere a rischio quella della madre, che avrebbe corso pericolo se ella avesse dato alla luce il piccolo.La donna è stata salvata. «Per me», ha detto il Dott. Weissbuch, «un paziente può essere di qualsiasi religione o nazionalità. Noi vogliamo solo fornire il giusto trattamento. Tutta la corrispondenza portava una intestazione col mio nome e la dicitura Stato d'Israele: mi è bastato questo». Evidentemente la sua collega iraniana la pensa allo stesso modo e il fatto che egli provenga dallo Stato nemico per eccellenza della Repubblica Islamica non ha rappresentato un ostacolo di fronte al salvataggio di una vita umana.Un bell’articolo di Fiamma Nirenstein per il Giornale ricorda anche che migliaia di arabi sono stati guariti dalla medicina israeliana. Come la piccola Elham Fathi Hammad, 3 anni, figlia niente meno che del Ministro degli Interni del governo di Hamas. In piena Intifada, mentre l’organizzazione a cui suo padre appartiene uccideva civili israeliani, Elham aveva subìto ad Amman un’operazione fallita al cuore. Portata poi in gravi condizioni all’ospedale Barzilazi di Ashkelon, la bimba è stata salvata.Nel giugno 2010 una cellula terroristica di Hamas ha compiuto un attentato con armi automatiche costato la vita all’agente di polizia Shukri Sofer, tra l’altro prossimo al matrimonio. Un paio di mesi prima uno degli appartenenti alla cellula era stato segnalato come caso umanitario perché sua figlia, 6 anni appena, aveva un tumore ad un occhio. Grazie ai fondi di un’organizzazione no-profit israeliana la bambina è stata ricoverata presso il celebre ospedale Hadassah Ein Kerem di Gerusalemme e ha subito un intervento chirurgico perfettamente riuscito. In tale struttura esercitano insieme medici arabi ed israeliani. Arrestato successivamente il terrorista di Hamas ha dichiarato di essere stato tutto il tempo al capezzale della figlia malata: invece progettava l’attentato.Nel marzo di quest’anno una giovane madre e la sua neonata, palestinesi, sono state salvate dalle Forze di Difesa e da paramedici israeliani nell’insediamento di Neve Tzuf. Un taxista palestinese aveva trasportato lì la ragazza, poco più che ventenne, il cui cordone ombelicale era attorcigliato al collo della bambina appena partorita, che rischiava di soffocare. Il giovanissimo paramedico militare israeliano Haim Levin, 19 anni, ha rimosso il cordone dal collo della bimba palestinese, ormai grigia e immobile, e chiesto ai suoi collaboratori di preparare un kit di rianimazione per neonati. «Ho pizzicato la piccola per vedere se reagiva e lei ha iniziato a strillare», ha raccontato in seguito Haim Levin."Era stata curata in un ospedale israeliano anche l’aspirante terrorista, per nulla affatto pentita, Wafa Al- Biss, una dei palestinesi in carcere rilasciati da Israele in cambio del caporale Gilad Shalit. Wafa, studentessa di Sociologia, era stata ricoverata nel 2005 al Soroka di Beer Sheva, nel Negev, con gravissime ustioni dovute all’esplosione accidentale di una bombola di gas nella sua casa. Sei mesi dopo la al-Biss sarebbe stata arrestata per aver cercato di farsi saltare in aria all’ingresso dello stesso ospedale. «Da noi era stata curata con dedizione, accudita giorno e notte», aveva dichiarato allora il direttore dell'ospedale, dottor Eitan Hay-Am. Oggi Wafa, al suo ritorno a Gaza da donna libera, ha voluto attorno a sé tanti bambini: per chiedere loro di diventare “martiri”, come a lei non è stato possibile fare." http://www.legnostorto.com/ 15 .11.2011di A. Boga
La scorsa settimana è emersa una storia edificante, una goccia nel mare dei rapporti perennemente molto tesi tra il mondo islamico e Israele. Una ginecologa iraniana si è rivolta via e-mail a un collega israeliano per chiedergli un parere. Lei si è firmata soltanto “N.N.” per motivi di sicurezza, lui è l’esperto di gravidanze a rischio Adi Weissbuch del Kaplan Medical Center di Rehovot. Una paziente di “N.N.” era incinta da sedici settimane di un figlio con una rara malattia genetica. In Iran vige la sharia, la legge islamica, che vieta l’aborto dopo la diciottesima settimana di gravidanza. La ginecologa iraniana, indecisa sul da farsi, ha contattato Weissbuch, del quale in precedenza aveva letto un esauriente articolo proprio sulle gravidanze a rischio a causa di malattie genetiche del nascituro.Il responso del medico israeliano è stato chiarissimo: sacrificare immediatamente la vita del bambino, per non mettere a rischio quella della madre, che avrebbe corso pericolo se ella avesse dato alla luce il piccolo.La donna è stata salvata. «Per me», ha detto il Dott. Weissbuch, «un paziente può essere di qualsiasi religione o nazionalità. Noi vogliamo solo fornire il giusto trattamento. Tutta la corrispondenza portava una intestazione col mio nome e la dicitura Stato d'Israele: mi è bastato questo». Evidentemente la sua collega iraniana la pensa allo stesso modo e il fatto che egli provenga dallo Stato nemico per eccellenza della Repubblica Islamica non ha rappresentato un ostacolo di fronte al salvataggio di una vita umana.Un bell’articolo di Fiamma Nirenstein per il Giornale ricorda anche che migliaia di arabi sono stati guariti dalla medicina israeliana. Come la piccola Elham Fathi Hammad, 3 anni, figlia niente meno che del Ministro degli Interni del governo di Hamas. In piena Intifada, mentre l’organizzazione a cui suo padre appartiene uccideva civili israeliani, Elham aveva subìto ad Amman un’operazione fallita al cuore. Portata poi in gravi condizioni all’ospedale Barzilazi di Ashkelon, la bimba è stata salvata.Nel giugno 2010 una cellula terroristica di Hamas ha compiuto un attentato con armi automatiche costato la vita all’agente di polizia Shukri Sofer, tra l’altro prossimo al matrimonio. Un paio di mesi prima uno degli appartenenti alla cellula era stato segnalato come caso umanitario perché sua figlia, 6 anni appena, aveva un tumore ad un occhio. Grazie ai fondi di un’organizzazione no-profit israeliana la bambina è stata ricoverata presso il celebre ospedale Hadassah Ein Kerem di Gerusalemme e ha subito un intervento chirurgico perfettamente riuscito. In tale struttura esercitano insieme medici arabi ed israeliani. Arrestato successivamente il terrorista di Hamas ha dichiarato di essere stato tutto il tempo al capezzale della figlia malata: invece progettava l’attentato.Nel marzo di quest’anno una giovane madre e la sua neonata, palestinesi, sono state salvate dalle Forze di Difesa e da paramedici israeliani nell’insediamento di Neve Tzuf. Un taxista palestinese aveva trasportato lì la ragazza, poco più che ventenne, il cui cordone ombelicale era attorcigliato al collo della bambina appena partorita, che rischiava di soffocare. Il giovanissimo paramedico militare israeliano Haim Levin, 19 anni, ha rimosso il cordone dal collo della bimba palestinese, ormai grigia e immobile, e chiesto ai suoi collaboratori di preparare un kit di rianimazione per neonati. «Ho pizzicato la piccola per vedere se reagiva e lei ha iniziato a strillare», ha raccontato in seguito Haim Levin."Era stata curata in un ospedale israeliano anche l’aspirante terrorista, per nulla affatto pentita, Wafa Al- Biss, una dei palestinesi in carcere rilasciati da Israele in cambio del caporale Gilad Shalit. Wafa, studentessa di Sociologia, era stata ricoverata nel 2005 al Soroka di Beer Sheva, nel Negev, con gravissime ustioni dovute all’esplosione accidentale di una bombola di gas nella sua casa. Sei mesi dopo la al-Biss sarebbe stata arrestata per aver cercato di farsi saltare in aria all’ingresso dello stesso ospedale. «Da noi era stata curata con dedizione, accudita giorno e notte», aveva dichiarato allora il direttore dell'ospedale, dottor Eitan Hay-Am. Oggi Wafa, al suo ritorno a Gaza da donna libera, ha voluto attorno a sé tanti bambini: per chiedere loro di diventare “martiri”, come a lei non è stato possibile fare." http://www.legnostorto.com/ 15 .11.2011di A. Boga
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