mercoledì 23 novembre 2011


Scontenti ma contenti

Un'onesta confessione: il cottage – il formaggio bianco-acidulo-granuloso che si vende ora a dieci shekel per due barattoli – a me non piace (a mia moglie sí). Quando quest'estate è iniziato il boicottaggio del cottage, la scelta del simbolo focale della protesta dei consumatori contro il carovita in Israele mi ha lasciato alquanto indifferente, mentre per centinaia di migliaia di israeliani la rinuncia al barattolino dall'algido contenuto certo segnalava un ostentato sacrificio personale destinato a stimolare un radicale intervento governativo di ristrutturazione dei prezzi e dei mercati.Col passaggio dal cottage alle tendopoli, il malcontento ha assunto una dimensione più imponente. È importante valutare non solo le cause e le conseguenze, ma anche la forza e la debolezza di una protesta che, almeno in queste proporzioni, non si era mai vista prima in Israele. I fatti sono ben noti ai più, ma anche per evitare pericolosi equivoci, vale la pena di fare dei confronti fra la società israeliana e quella di altri paesi.La prima analogia che molti in occidente hanno intravisto fra la protesta civile in Israele e la cosiddetta Primavera Araba – in apparenza una sommossa volta a rimuovere vecchi regimi dittatoriali e a promuovere la democrazia nei paesi del Medio Oriente – evidentemente non calza. Israele è già una democrazia. Semmai vanno seguiti con cautela gli sviluppi nei paesi vicini, nei quali diverse dittature laiche potrebbero essere sostituite da regimi crescentemente islamici.La seconda analogia che non funziona, questa volta con i paesi occidentali, è quella della crisi generale. In realtà, la società isaeliana è stata sorprendentemente meno danneggiata dalla crisi finanziaria globale iniziata nel 2008. Israele è salito al 15° posto al mondo su oltre 170 paesi nell'indice di sviluppo umano che misura il livello di scolarizzazione, di longevità (quindi di salute) e di reddito. Il tasso di disoccupazione in Israele, poco oltre il 5% (e ricordiamoci che qui si ama farsi sostituire dai lavoratori stranieri nelle mansioni più dure), contrasta con l'8,6% in Italia, oltre il 9% negli Stati Uniti, e quasi il 20% in Spagna. La borsa valori di Tel Aviv – che tocca direttamente solo una minoranza dei cittadini ma è un interessante indice della psicologia collettiva – è tra quelle che negli ultimi cinque anni sono salite di più, sono state meno danneggiate dalla caduta del 2008-2009, e si sono riprese più rapidamente dopo la recessione. Il visibile calo degli ultimi mesi è comune a molti altri paesi. Lo shekel è rimasto forte, semmai troppo, le banche sono state giudicate solide. Il capo della Banca Centrale Stanley Fischer si è guadagnato il titolo di miglior Governatore dell'anno grazie alla sua ferma e cauta conduzione dell'economia.La terza analogia problematica riguarda la diffusione della povertà e la grande diseguaglianza nella distribuzione dei redditi in Israele. La povertà di cui si parla è un indice relativo e non assoluto, e quindi ha la paradossale prerogativa di aumentare quando il tenore di vita migliora, e di diminuire invece quando i redditi in realtà scendono. La povertà in Israele si misura a partire da un reddito medio per capite di oltre 20.000 dollari all'anno, non di 4 o 5, o al massimo 10 dollari al giorno come in molti paesi arabi. Ma il fatto decisivo è che in Israele si lavora poco, e i poveri in gran parte appartengono alle famiglie dove non si lavora. Nelle famiglie di ebrei haredím, solamente circa il 40% degli uomini, e nelle famiglie musulmane, meno del 30% delle donne fanno parte della forza di lavoro. Chi legge con preoccupazione i dati statistici sulla povertà in Israele non si dimentichi che si tratta di una povertà concentrata per scelta propria per lo più in determinati settori culturali, e peraltro alleviata da una fitta rete di esenzioni e sussidi somministrati dallo stato o da altri enti pubblici e privati.Il quarto aspetto – forse il più sorprendente di tutti – è il persistente ottimismo degli israeliani. In un recente sondaggio mondiale sul grado di soddisfazione nella vita, Israele si classifica all'ottavo posto, alla pari con la Svizzera, dietro i paesi scandinavi, ma ben davanti alla maggiornaza dei paesi occidentali (l'Italia è al 40° posto). E la natalità in Israele – un altro indice di ottimismo – è in aumento, anche fra i secolari. Tutti scontenti, dunque, ma alla fin fine ancora soddisfatti – anche viste le alternative.Israele ha anche reagito alla protesta in un modo che non si è quasi visto in altri paesi: ha nominato una commissione di esperti, presieduta dal Prof. Manuel Trachtenberg – commissione, è vero, governativa ma altamente professionale, che ha proposto una batteria di riforme, dal livello personale dei singoli al livello più generale delle regole dell'amministrazione dell'economia e della distribuzione dei profitti. Le riforme suggerite equivalgono a un vero nuovo contratto sociale in cui a tutti si promettono migliorie nel tenore di vita, nei servizi pubblici e nell'accesso all'alloggio, ma si chiede anche una partecipazione più diretta alla formazione del reddito nazionale. E qui sta il problema.Il governo Netanyahu ha approvato in linea di massima il documento Trachtenberg, ma l'approvazione finale dipende dalla Knesset, il che significa interessi di partito. Il paradosso tragico della democrazia rappresentativa è che gli interessi dei diversi settori finiscono col prevalere sull'interesse nazionale che indubbiamente vorrebbe una migliore soddisfacimento delle necessità essenziali della vita e una migliore giustizia distributiva. Ma questo andrebbe a spese di quelle esenzioni e di quei privilegi che sono parte integrante del panorama politico e sociale israeliano. Su questo terreno, i capi della protesta – quasi tutti giovani che per la prima volta si affaccciano sulla scena pubblica – non sono riusciti fin'ora a comunicare chiaramente un ordine del giorno compatto e realizzabile. Gli interessi sono molti e diversi, ed è facile cadere nella demagogia o addirittura nelle frange dell'anarchismo.Senza dubbio il fatto positivo di quest'estate è stato la scossa al sistema esistente. Ma alla fine della giornata, la protesta può essere incanalata solamente attraverso le regole della democrazia. Solo in occasione dell'elezione della prossima Knesset, che si avvicina rapidamente, potremo capire se la protesta del cottage e delle tendopoli avrà creato le basi per una vera riforma del sistema sociale in Israele.Sergio Della Pergola, da kolha-italkim n. 49

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