giovedì 8 dicembre 2011


Ebraico e democratico

Il 49° numero della rivista Justice, organo della International Association of Jewish Lawyers and Jurists (Fall 2011), rappresenta un punto di riferimento particolarmente rilevante per il dibattito sulla natura giuridica dello Stato d’Israele, dal momento che offre ai lettori i testi delle relazioni presentate in occasione del 14° Congresso internazionale della IAJLJ, svoltosi sul Mar Morto dal 2 al 5 febbraio 2011, e dedicato, appunto, al tema di “Israel as a Jewish an Democratic State”. Le molteplici questioni legate a tale peculiare “doppia natura” di Israele (in quanto Stato ebraico e democratico), ai possibili punti di attrito tra queste due qualità costitutive, come anche alla possibilità e necessità che esse vadano invece a fecondarsi reciprocamente, sono state sviscerate da molti punti di vista, attraverso una ricognizione complessiva che ha preso in considerazione l’intera, intensa storia della giovane democrazia, nei suoi momenti essenziali di costruzione e consolidamento (dalla Dichiarazione d’Indipendenza al particolare processo costituente “a tappe”, dalle Leggi Fondamentali del 1992 sulla Libertà di Occupazione e la Libertà e la Dignità della Persona fino alla più recente giurisprudenza della Corte Suprema). Una discussione ricca, serrata, non priva di divergenze e contrapposizioni, di cui non è possibile dare conto nel breve spazio di poche righe.Mi permetto, semplicemente, di fare un paio di annotazioni riguardo a tale fondamentale problema, così strettamente legato alla stessa ragion d’essere – nazionale, storica, morale, spirituale dello Stato d’Israele, alla sua specifica collocazione nella famiglia delle nazioni.Dovrebbe essere superfluo dire, innanzitutto, che chiunque abbia davvero a cuore Israele dovrebbe difenderne, congiuntamente e contemporaneamente, entrambe le caratteristiche costitutive. Israele è un Paese ebraico e democratico, e tale dovrà restare. È un dato di fatto che l’accettazione del carattere ‘ebraico’ dello Stato non appare sempre condivisa dalla cospicua minoranza araba, e anche (sia pure in misura molto marginale) da alcuni piccoli gruppi di opinione ebraici (all’insegna del cd. “post-sionismo”). Ciò rappresenta, certamente, un problema, ma ogni soluzione non potrà non essere ricercata e praticata all’interno della cornice costituzionale dello Stato delineata dalla Dichiarazione d’Indipendenza, che vuole Israele patria del popolo ebraico, ma sempre attentissimo a garantire pienezza di diritti a tutte le minoranze etniche e religiose, e piena facoltà di parola e di dissenso a tutti i cittadini: anche a coloro che usano la libertà di pensiero e di espressione per contestare le stesse fondamenta di quello Stato che tale libertà assicura e garantisce. Solo una vigile e attenta salvaguardia della qualità democratica della società israeliana, a mio avviso, potrà fungere da efficace baluardo contro gli attacchi alla sua natura di “Stato ebraico”.D’altra parte, se occorre difendere la natura ebraica di Israele, anche la sua natura di Stato democratico non può essere data per scontata, come acquisita una volta per tutte. Sappiamo bene come, su tanti piani (per esempio, la laicità dello Stato, i diritti dei non osservanti o dei non credenti, la tutela delle minoranze ecc.), la società israeliana presenti talora dei punti di criticità, che talvolta portano diverse componenti della popolazione a dividersi e contrapporsi, in modi anche aspri. E non c’è dubbio sul fatto che il perenne stato di emergenza, se non di assedio, in cui versa il Paese metta sempre in secondo piano una serie questioni essenziali che, in diverse condizioni, emergerebbero con forza, probabilmente in forme non indolori.La difesa di Israele come Stato ebraico e democratico, insomma, richiede un impegno quotidiano, un’attenzione continua. Ed esprimo qualche perplessità rispetto a chi pare porre una gerarchia di priorità tra i due elementi (per esempio, Fania Oz-Salzberger, in un acuto saggio, pubblicato nel citato fascicolo di Justice, dal titolo, dichiaratamente “provocative”: “Democratic first, Jewish second”). I due termini, infatti (come la stessa studiosa riconosce), non possono essere messi sullo stesso piano, in quanto il primo riguarda un funzionamento civile e politico, il “dover essere” di una società, mentre il secondo esprime semplicemente un dato di fatto, l’“essere” della nazione ebraica. Ed è proprio sull’“essere” dell’ebraismo (non sul “dover essere” della democrazia, che non esisteva nel mondo antico) che si realizza la continuità tra l’Israele moderno e quello antico. Due estrinsecazioni storiche della medesima, identica realtà: il popolo ebraico, libero e sovrano nella sua terra.Francesco Lucrezi, storico,http://www.moked.it

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