sabato 21 gennaio 2012

Kadima, il sogno del grande centro va in frantumi

Tra liti e scissioni Tzipi Livni convoca le primarie
La lotta senza quartiere che l’opposizione israeliana si propone di sferrare al governo “estremista” di Benjamin Netanyahu, in vista delle politiche del prossimo anno, rischia di arenarsi già nell’immediato futuro a causa della presenza di troppi protagonisti e comprimari. La confusione politica, un dato endemico nelle fila di Kadima, ha fatto registrare una drammatica impennata dopo la decisione del giornalista televisivo Yair Lapid (una vera e propria celebrità del piccolo schermo e star indiscussa dell’informazione) di “scendere in campo” alla guida di un nuovo partito centrista. Nell’intento, dichiarato, di strappare voti e seggi al Likud.Ma l’impressione, che per alcuni analisti è già una certezza, è che Lapid sottrarrà consensi soprattutto a Kadima, il partito centrista fondato nel 2005 da Ariel Sharon che, sotto la guida dell’ex agente del Mossad ed ex ministro degli esteri Tzipi Livni, ottenne la vittoria nel 2006 e il maggior numero di seggi alle elezioni del 2009 per dover poi soccombere alla coalizione tra Likud, estremisti di destra ed ortodossi.Kadima, che fu guidato da Ehud Olmert e appoggiato da Shimon Peres, corre insomma il rischio di una possibile implosione politica. Per arrivare politicamente viva a fine marzo, quando si terranno le primarie del partito da lei convocate, la già affascinante askenazita Tzipi Livni dovrà dimostrarsi capace di sapere raccogliere e intercettare il voto dei delusi e degli scettici. Di quanti insomma mostrano di non fidarsi degli altri due candidati alla leadership di Kadima, l’ex ministro della difesa Shaul Mofaz e l’ex capo della sicurezza interna (lo Shin Bet) Avi Dichter. La sua conferma alla guida del partito non sembra tuttavia del tutto sicura, al contrario di quella di Netanyahu, che a fine gennaio sarà nuovamente eletto al vertice del Likud.Il candidato ideale del partito centrista dovrà esser capace di interpretare il bisogno di sicurezza dei potenziali elettori, coniugandolo tuttavia con una sensibilità crescente per il disagio sociale con cui Israele sembra ormai quotidianamente condannato a coabitare. I frequenti episodi di razzismo contro gli immigrati ebrei d’Etiopia, i falashà; l’arroganza violenta degli ultraortodossi, che sfidano le leggi basilari della convivenza arrivando a insultare e coprire di sputi una bambina di otto anni, non abbigliata secondo i canoni ortodossi; e, ancora, le resistenze dei coloni della Cisgiordania e i loro scontri con la polizia incaricata di abbattere gli insediamenti illegali, come avvenuto in questi giorni a Yisa Brecha. Tutti problemi che, sommati ai morsi della crisi economica, potrebbero in teoria favorire Kadima. Solo in teoria, però, dato che la proliferazione di partitini e candidati nell’area del centro rende il fronte laico, democratico e progressista assai più vulnerabile, e fonti informate ritengono che Netanyahu intenda anticipare di un anno la tornata elettorale per trarre il massimo vantaggio dalla situazione.Per quanto poco possano valere i paragoni “storici”, non è facile dimenticare numerosi casi in cui la frammentazione dello schieramento di centro o di sinistra si è in passato tradotto in un successo di una destra inizialmente non favorita. Come in Francia, quando la presenza al primo turno di ben cinque partiti della sinistra impedì a Lionel Jospin di andare al secondo turno e consegnò la sicura vittoria a Jacques Chirac per un secondo mandato.Sul piano internazionale, Kadima promette di ridar slancio ai colloqui di pace con i palestinesi, obiettivo non impossibile in un momento di debolezza di Hamas, e accusa Likud di perpetuare un clima di insicurezza che puntualmente sembra voler monetizzare ad ogni consultazione popolare. Il partito di Netanyahu e la stampa che lo appoggia – dal Maariv al Jerusalem Post a celebri siti del web come il chiacchierato Debka (vicino ai servizi segreti) – vengono altresì accusati di drammatizzare oltre ogni misura il “pericolo iraniano”.La stampa indipendente, pur non negando la dimensione del pericolo nucleare nel paese degli ayatollah, sottolinea come fonti internazionali e neutrali ritengano ancora lontana la possibilità di un attacco militare da parte di Ahmadinejad o quella, altrettanto grave, di un vero e proprio blocco dello stretto di Hormuz da parte della flotta iraniana. E tutto ciò fa regolarmente infuriare Netanyahu, che proprio in questi giorni ha definito Haaretz e il New York Times i «peggiori nemici di Israele». Salvo poi smentire. Come sempre.
Mario Gazzerihttp://www.europaquotidiano.it/

Nessun commento: